Lezioni di storia russa, con alzabandiera

Fabio Bettanin

Ripetitivi, oscuri, contradditori. Gli ukaz del 2022 sui Principi fondamentali della politica dello Stato per preservare e rafforzare i valori spirituali e morali tradizionali russi e l’altro del 2024 sui Principi fondamentali della politica dello Stato della Federazione Russa nel campo dell’educazione storica, qui riportati in traduzione italiana, offrono un importante strumento di comprensione del ruolo crescente, e ora centrale, cha la “politica della storia” ha avuto nel corso delle presidenze Putin.

La scoperta del passato

La definizione di una vulgata ufficiale del passato storico non sempre è stata una priorità dell’agenda politica della Russia contemporanea. Nel suo primo manifesto elettorale, Putin si sbarazzò di anni di sterili dibattiti sull’“idea russa” con una dichiarazione di assoluta genericità: dopo anni di crisi economica e sociale, le speranze di un futuro degno erano affidate alla capacità di combinare “i principi universali della democrazia e dell’economia di mercato con la realtà della Russia”. Nel successivo messaggio presidenziale lanciò un appello altrettanto vago: “Oggi che ci muoviamo in avanti, non è importante ricordare il passato quanto avviarsi verso il futuro”. La condanna di tutte le rivoluzioni che avevano sconvolto la storia della Russia, non solo dell’Ottobre, gli consentì di non allinearsi ai programmi di integrazione nel mondo occidentale perseguiti da El’cin , senza confutarli del tutto[1]. Una volta consolidatosi al potere, propose di abbandonare una visione focalizzata solo sui lati oscuri del passato, che generava sfiducia nell’avvenire, e nel messaggio del 2003 celebrò la capacità della Russia imperiale e anche dell’Unione sovietica di “mantenere uno Stato in un grande spazio geografico, tenendo assieme una comunità unica di popoli” [2].

Rilette oggi, le affermazioni possono essere interpretate come il preannuncio di scelte future, ma allora il loro significato fu attenuato da iniziative di cabotaggio storico, finalizzate alla revisione dei simboli della nazione più che alla revisione della versione del passato. La data della festa nazionale fu spostata al 4 novembre, anniversario dell’intronizzazione dei Romanov nel 1613; furono abolite le ricorrenze del 12 dicembre, giorno di approvazione della costituzione e del 12 giugno, anniversario della dichiarazione di sovranità della Russia. In nome della comune avversione alla rivoluzione, Putin stabilì un’intesa politica con Solženicyn, cementata dalla decisione di far rientare in patria, con tutti gli onori, le spoglie del filosofo Il’in e del generale Denikin, noti per le loro idee antidemocratiche (secondo alcuni: fasciste) oltre che per aver combattuto il regime sovietico. Le iniziative ebbero scarso seguito popolare, e non indicano i contorni di una coerente “politica della storia”.

Furono le “rivoluzioni colorate” a imporre l’elaborazione della dottrina della “democrazia sovrana”, che non ricevette mai i crismi dell’ufficialità, ma definì la cornice intellettuale delle politiche del momento. Nella formulazione di Vladislav Surkov, suo principale artefice, la Russia aveva da sempre fatto parte dell’Europa, ma il suo ruolo era stato più incisivo e proficuo quando non aveva provato a imitare idee e istituzioni occidentali e aveva invece scelto di dotarsi di proprie. Il compito si riproponeva all’inizio del XXI secolo, e doveva essere affrontato con la consapevolezza degli ostacoli da affrontare. Nel clima del momento era ancora possibile parlare dei lati oscuri della centralizzazione del potere, che “ha condotto più di una volta nella storia russa a trascurare ‘particolari e dettagli’ come la vita umana e la libertà, la dignità e i diritti umani”, e ammonire sul cammino da percorre per riguadagnare un ruolo internazionale riconosciuto: “nessuno si rivolgerà a noi per la nuova tecnologia, i servizi finanziari di qualità, il management efficiente, i film di successo. Noi siamo quelli con la faccia sporca, dei sobborghi operai”[3]. In modo meno immaginifico, ma più diretto, Putin pose lo stesso problema nel 2005, quando definì il crollo dell’Urss “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo” e poi nel discorso del febbraio 2007 alla Conferenza per la sicurezza di Monaco, con il suo attacco diretto a coloro che “insegnano la democrazia ma non vogliono impararla”, e in particolare agli USA, colpevoli di aver distrutto il sistema di sicurezza internazionale[4]. Putin non voleva tornare all’Urss, quanto ottenere un riconoscimento del ruolo internazionale del ruolo di grande potenza, anche se era consapevole che in quel momento, al pari di quanto accadeva per Francia e Gran Bretagna, esso le spettava in considerazione del suo passato più che del suo presente.

Inventare una tradizione dalla quale emergesse sia la diversità della Russia sia la sua normalità di grande potenza era compito più complesso. Il compito di promuovere un’immagine positiva del paese nel mondo fu affidato alla formazione di Russkij Mir e di Rossotrudničestvo. Nonostante il grande impiego di mezzi, le due organizzazioni hanno deluso le aspettative del Cremlino[5]. Un’eredità più durevole lasciò la pubblicazione nel 2007 della Storia della Russia contemporanea. 1945-2006 di Aleksander Filippov, seguita da una Storia della Russia. 1945-2008 per gli studenti e da un testo metodologico preparato da un colletivo di studiosi guidato dallo stesso Filippov, il cui compito era di definire le linee guida nella redazione di tutti gli altri manuali di storia. La novità di questi “supermanuali” era duplice. Distribuiti in decine di migliaia di copie, essi segnavano l’ingresso diretto degli organi dello Stato nella gestione corrente dell’insegnamento della storia, dato che l’intera operazione era stata condotta dal ministero dell’Educazione. L’altra novità riguardava l’imposizione di un modello unico al quale conformarsi, i cui contenuti furono fissati in termini generali dall’intervento di Putin alla coeva Conferenza degli insegnanti di storia: “Sì, anche noi abbiamo avuto pagine problematiche nella nostra storia, al pari di ogni altro Stato. Ne abbiamo meno di altri, e meno terribili. […] Per questo non possiamo consentire ad alcuno di imporre un senso di colpa sulla Russia; gli avvenimenti del passato debbono essere descritti in modo tale da suscitare l’orgoglio per la nostra storia[6]”.

Il termine totalitarismo, di largo uso nei testi storici degli anni Novanta, scomparve dai manuali scolastici russi. In essi, il Terrore staliniano, il Patto Ribbentrop-Molotov, Katyn’, l’imposizione del socialismo all’Europa orientale non vengono ignorati, ma ridotti a episodi secondari, che non hanno impedito la modernizzazione della Russia (senza la quale non ci sarebbe stato l’eroe nazionale Gagarin), la vittoria nella Grande guerra patriottica, un lungo periodo di pace nel secondo dopoguerra[7]. In coerenza con questo approccio, due anni più tardi, il nuovo presidente Medvedev esortò a considerare il passato della Russia senza pregiudizi, nella consapevolezza che la sua reputazione internazionale era compromessa dalla rimozione dei crimini del passato nell’ambito nella “guerra delle memorie” con gli ex paesi socialisti, e allo stesso tempo firmò un decreto per la formazione di una commissione contro la falsificazione della storia, diretta da Naryškin, esponente di rilievo dei servizi di sicurezza[8].

La storia millenaria

Solo nel settembre 2013 Putin fece una sorta di outing e sidescrisse in una intervista al Primo canale della TV russa e all’ Associated Press come un “pragmatico con una inclinazione conservatrice”, aggiungendo che «in quasi tutti i paesi erano i conservatori ad accumulare le risorse, i mezzi, le potenzialità per lo sviluppo economico»; poi arrivavano «i rivoluzionari che facevano quel che gli pareva» e toccava di nuovo ai conservatori «rimettersi al lavoro per sistemare quello che era stato rovinato e buttato all’aria». Questa visione difensiva e reattiva del conservatorismo illustra fedelmente la strategia seguita nelle sue due prime presidenze. Nel campo dell’educazione storica i risultati non erano stati brillanti, tanto che Putin aveva inaugurato la sua terza presidenza lamentando la debolezza dei “legami spirituali fra russi”. Nel Messaggio all’Assemblea federale del dicembre successivo, emerse una versione più apocalittica del conservatorismo, anch’essa ricorrente nella storia russa, intesa come raggiungimento di una condizione tale da porre la Russia al riparo dagli sconvolgimenti provenienti dal mondo circostante. Putin si affidò a una citazione del filosofo Berdjaev per affermare che «la funzione del conservatorismo non è di prevenire i movimenti in avanti e in alto, ma quelli indietro e sotto, verso una caotica oscurità e uno stato primitivo». [9] La centralità assunta dalla formula dello stato-civiltà, gli ossessivi appelli per il ritorno a un’indefinita tradizione sono l’indice più significativo di un conservatorismo il cui fine dichiarato era di consentire alla Russia di fronteggiare un Occidente collettivo considerato, oltre che minaccioso, fonte di disordine globale. Negli anni Novanta del XX secolo si era trattato di una corrente culturale e politica marginale, anche se il Partito comunista della Federazione Russa di Zjuganov ne aveva in parte sposato le tesi. Con il ritorno di Putin alla presidenza divenne obiettivo dichiarato della politica del Cremlino. [10]  

Bloccare progressivamente ogni ingerenza esterna e punire chi non rispettava i valori spirituali russi è stata impresa relativamente facile, che causò un appannamento dell’immagine della Russia nel mondo ma non cadute del consenso interno. Definire una politica culturale, e al suo interno una vulgata storica adeguate alla svolta conservatrice del 2012 si è rivelato compito più difficile. Un passo in questa direzione fu compiuto nel dicembre 2014 con la firma dell’ukaz sui Fondamenti di una nuova politica culturale. Il documento aveva avuto una lunga gestazione, determinata dalle difficoltà incontrate nel definire i contorni dell’osobyj put’ della Russia del XXI secolo. La prima versione, curata dall’ultranazionalista ministro della Cultura Vladimir Medinskij, si era spinta sino a dichiarare che la storia della Russia era separata da quella del resto d’Europa. In quel momento, l’obiettivo di Putin era semmai di presentare la Russia come la “vera Europa”, e non stupisce che il presidente abbia chiesto una rielaborazione del testo. La versione finale si limitò a celebrare in forma anodina la natura “multinazionale e multireligiosa” della società russa, e la sua unicità, che la ponevano al riparo da vari pericoli, elencati con acribia: “la rottura dei valori spirituali e morali”, “la crescita dell’intolleranza e di comportamenti antisociali”, “la deformazione della memoria storica e la diffusione di false affermazioni sull’arretratezza storica della Russia”. Un paragrafo a parte era dedicato all’attività svolta da “stati, organizzazioni internazionali e corporazioni transnazionali, Ong” per attentare alla “sovranità culturale della Russia”. Per la prima volta, la “sicurezza culturale” occupava un posto dominante in un documento ufficiale. Suo inevitabile corollario era il ruolo di guida delle istituzioni culturali assegnato allo stato. A sottolinearlo la ripetizione all’inizio di ogni capitolo, come una sorta di antifona, di un richiamo alla “politica culturale statale”. [11] Il commento di Medinskij rende lo spirito con il quale veniva affrontato il compito: “chi non nutre la propria cultura, nutrirà un esercito straniero”. In sintonia , il Concetto di politica estera del 2016, la Dottrina militare del 2014, la Strategia di sicurezza nazionale del 2015, descrissero la Russia come una potenza con una proiezione globale in un mondo caotico, per questo fronteggiata con una strategia di “contenimento” culturale oltre che militare ed economico. Negli anni successivi, in un eterno ritorno, l’onnipresenza mediatica delle teorie del complotto ha favorito varie ondate repressive nei confronti di associazioni e individui, e ha modificato le loro motivazioni: dal “così fan tutti”, che rivendicava l’allineamento della legislazione russa quella dei paesi occidentali, si è passati alla proclamazione del diritto di difendersi dalle intromissioni. [12]

Il referendum del novembre 2020 sugli emendamenti alla Costituzione conferì una legittimazione giuridica a questa interpretazione, stabilendo la superiorità della legislazione russa su quella internazionale e trasformando la memoria condivisa del passato in norma di convivenza civile. Recita il nuovo articolo 67: “La Federazione russa formatasi attraverso una storia millenaria, impegnata a conservare la memoria degli antenati, che ci hanno trasmesso gli ideali e la fiducia in Dio, e anche l’eredità nella formazione dello Stato russo […] onora la memoria dei difensori della Patria e si impegna nella difesa della verità storica. Non è consentito sminuire il significato delle azioni gloriose del popolo in difesa della Patria[13].”

Nel dicembre 2021 lo scioglimento per violazioni della legge sugli «agenti stranieri» di Memorial e la persecuzione dei suoi principali esponenti, ha lanciato un monito preciso: la ricerca dei momenti bui del passato della Russia, delle repressioni come dei momenti di declino della Russia, era attività che avrebbe esposto specialisti, organizzazioni e semplici cittadini alle dure sanzioni penali e amministrative previste dalle leggi sugli agenti stranieri e sul terrorismo. Una torsione importante ha subito anche il termine sovranità, centrale nel lessico politico russo del XXI secolo. Se nel primo decennio, esso era stato usato per rivendicare una via nazionale alla democrazia e allo stato di diritto, dopo il 2012 è stato inglobato all’interno della narrativa sulla Russia stato-civiltà. In questa deriva, ha assunto tratti che lo accomunano al Großraum descritto da Carl Schmitt, i cui confini non coincidono con quelli dello stato-nazione, all’interno del quale il diritto di proclamare lo “stato di eccezione” è riservato alla Russia: “the bearer of a ‘political idea’, a set of values and ideas that unite peoples across the wider region inways that transcend ethnicity”. Attributo di questo diritto era la facoltà “to endeavour to exclude the ideological, political and military presence of foreign powers[14]”.

La questione non era puramente teorica. Nel 2016 il Concetto di politica estera aveva posto come priorità “impedire che emergano linee di frattura fra civiltà e promuovere la cooperazione tra culture, religioni e civiltà”. [15] Al momento in cui venivano pubblicate, queste parole non erano più in sintonia con le scelte del Cremlino, e con le dichiarazioni di molti membri dell’élite, che presentavano la Russia come il kathécon, l’antidiavolo che promette non di cambiare il mondo quanto di combatterne i mali, dal terrorismo al neonazismo, al neocolonialismo, tutti alimentati dalle pretese unipolaristiche del mondo occidentale. Più al passo con i tempi, la Strategia di sicurezza nazionale approvata nel 2021 considera la scontro di civiltà pressoché inevitabile in un mondo dove : “L’attività di alcuni stati è diretta a mettere in moto processi di disintegrazione nella Comunità degli stati indipendenti (CSI), al fine di recidere i legami della Russia con suoi tradizionali alleati. Una serie di stati considera la Russia una minaccia, e persino un nemico sul piano militare. […] La situazione politico-militare nel mondo è caratterizzata dalla formazione di nuovi centri globali e regionali di forza, e dall’inasprirsi della lotta tra di loro per la conservazione di una sfera di influenza. Cresce il ruolo della forza militare come strumento usato dai protagonisti della politica internazionale per raggiungere i propri fini. Forze distruttive all’esterno e all’interno del paese sono all’opera per usare le oggettive difficoltà socioeconomiche della Russia [16]”.

In forma più attenuata, concetti simili sono espressi dal Concetto di politica estera approvato nel marzo 2023, che affida alla politica estera della Russia il compito di difendere il paese dai “tentativi degli USA e dei loro satelliti” di indebolire la Russia attaccandone “le tradizioni spirituali e morali”. Come ai tempi sovietici, a un lungo quanto vago elenco delle “attività distruttive” è demandato il compito di comunicare che l’opera di consolidamento avviene in presenza di un Nemico, impegnato in una guerra ibrida contro la Russia[17].

Alla ricerca di una ideologia

Della progressiva riduzione dei problemi della cultura a questione di sicurezza, e del suo moto accelerato a partire dalla quarta presidenza Putin, si deve tenere conto per evitare spiegazioni monocasuali della politica russa negli ultimi anni. Putin e l’élite che lo sostiene non hanno aggredito l’Ucraina perché pensavano che russi e ucraini fossero un unico popolo, come il presidente ha sostenuto nel suo noto saggio sull’Unità storica di russi e ucraini e poi nell’intervista a Tucker Carlson.[18] Ancor meno lo hanno fatto per contrastare l’espansione della NATO: come ha mostrato la guerra in corso, l’Ucraina poteva essere riarmata anche senza il suo ingresso formale nell’alleanza. Nella sua vaghezza, l’espressione “guerra ibrida” offre una chiave di comprensione più articolata, anche se non onnicomprensiva. A posteriori, si può affermare che molti “specialisti” (fra questi sicuramente chi scrive) abbiano sottovalutato il significato politico della riscoperta della “storia millenaria”, per le semplificazioni e i falsi di cui è stata disseminata l’operazione, e non abbiano prestato la necessaria attenzione alla rivalutazione della “triade” di Uvarov da parte di Medinskij (nel frattempo “promosso” ad assistente di Putin e alla guida della Società russa di storia militare) e di altri esponenti dell’ala ultranazionalista dell’ élite russa.[19]

Per rivendicare la sua natura di stato-civiltà, e una “sovranità cognitiva,” connessa alla capacità di interpretazione autonoma degli eventi internazionali e dei loro sviluppi, la Russia aveva bisogno di una ideologia. Il problema emerse nel corso della campagna per l’approvazione degli emendamenti alla Costituzione. Cancellare l’articolo 13 (che proibiva l’adozione di una ideologia ufficiale) non era possibile, perché intervenire sulla prima parte della Costituzione avrebbe richiesto la sua riscrittura, e ancor più perché, sul piano politico, l’operazione avrebbe riaperto il dibattito sul futuro della Russia. La via di uscita fu trovata nell’approvazione di emendamenti che, se non attingevano direttamente alla “triade” di Uvarov, rispondevano alla comune esigenza di rispondere all’irruzione di ideologie esterne con la proposizione dell’immagine di una Russia che disponeva di tutte le risorse per seguire “uno sviluppo organico e graduale, che procede naturalmente, ma sotto il controllo dello stato”, al quale spettava il diritto e la responsabilità di definire i caratteri nazionali storici ai questo sviluppo naturale doveva ispirarsi. [20]

L’analogia fra i due momenti storici si ferma qui. A due secoli di distanza, “ortodossia, autocrazia, nacional’nost’” non potevano che avere contenuti profondamente diversi. I documenti qui riportati rispondono all’esigenza di adeguare una intuizione degli anni Trenta del XIX secolo alla realtà del “mondo multipolare” del XXI secolo. La Russia di Putin era molto più simile alle società dei paesi capitalistici di quanto non fossero mai state la Russia della prima metà del XIX secolo e anche l’Unione sovietica della perestrojka. La definizione della diversità doveva essere quindi affidata ai valori e alle tradizioni. La volontà di tracciare una netta linea di divisione fra la Russia e le società industriali più avanzate emerge dal titolo dell’ukaz del 2022, impensabile sino a quindici anni prima, ed è confermata dell’asimmetria del suo lessico: da una lato c’è l’”ideologia distruttiva” dell’Occidente collettivo, dall’altro i “valori tradizionali spirituali e morali russi […] , linee guida che formano la visione del mondo dei cittadini russi” (par. 4). Per un paese che aspira a essere riconosciuto come grande potenza internazionale sarebbe controproducente rinunciare al valore non strettamente nazionale della propria esperienza storica, e quindi il decreto proclama che “la base normativa e giuridica di questi Principi è costituita dalla Costituzione della Federazione Russa, dai principi e dalle norme universalmente riconosciuti del diritto internazionale e dai trattati internazionali sottoscritti dalla Federazione Russa” (par.2). La formulazione del paragrafo è in contraddizione con il principio costituzionale della supremazia della legge russa su quella internazionale, tradotto in atto dalla legislazione degli ultimi anni, con un aumento esponenziale delle attività repressive. L’inclusione del paragrafo nell’ukaz ha una motivazione che coglie però un altro nodo irrisolto della politica russa, il cui corso isolazionistico può spingersi sino a rinnegare il diritto e i trattati internazionali solo a condizione di alienarsi, oltre ai “nemici” dichiarati, partner strategici come Cina, India, Turchia. Il paragrafo, con il suo burocratico elenco dei documenti ufficiali che debbono ispirare l’azione del governo, nel quale predominano le decisioni prese da organi di sicurezza, indica la strada da tempo imboccata per scioglierlo: la trasformazione del confronto culturale in un problema di sicurezza.

I contenuti della prima parte dell’ukaz non lasciano lascia dubbi: i <<valori tradizionali spirituali e morali russi>> sono un attributo della comunità russa nel suo complesso, non dei singoli cittadini, e quindi il compito di contrastare le minacce provenienti dall’esterno spetta alle istituzioni dello Stato: “La politica statale della Federazione Russa per la conservazione e il rafforzamento dei valori spirituali e morali tradizionali russi […] è un insieme di misure coordinate attuate dal Presidente della Federazione Russa e da altre autorità pubbliche con la partecipazione delle istituzioni della società civile per contrastare le minacce socio-culturali alla sicurezza nazionale della Federazione Russa in relazione alla protezione dei valori tradizionali (par.9)”.

La formulazione esprime la gerarchia di funzioni e responsabilità degli attori della politica culturale. Il decreto rafforza i già ampi poteri e funzioni conferiti al presidente dalla Costituzione del 1993, ma, per riferirci a ricorrenti analogie, li differenzia da quelli degli zar o dei segretari del Pcus, rappresentanti di regimi che la tradizione l’avevano “creata”. Putin deve solo difenderla, e a giudicare dal lungo elenco dei “valori tradizionali” da preservare (par.5). Il compito non è dei più facili. Nessuno di essi è specificamente russo; nessuno, a giudicare dalle notizie che giungono dalla Russia e dai sondaggi d’opinione, è praticato con particolare zelo. L’85% dei russi si dichiarano patrioti, ma più della metà ritiene che un vero patriota possa criticare il potere, preferire letteratura e film stranieri, non votare alle elezioni. Una maggioranza si dichiara orgogliosa del passato della Russia, della sua estensione geografica e della sua natura, ma percentuali solo un poco più basse ammettono di avere vaghe conoscenze storiche o di essere impegnato nella difesa dell’ambiente. Allo stesso modo, una maggioranza si dichiara di fede ortodossa, ma sono in pochi a frequentare con regolarità le funzioni religiose o a conoscere la Bibbia. L’avversione suscitata dal corso sui “Fondamenti della cultura spirituale morali dei popoli della Russia”, istituito nel 2009 nelle scuole secondarie, ha indotto il Cremlino a cancellarlo, fra le inutili proteste del Patriarca. Né Putin ha mai spinto l’attenzione crescente ai problemi del miglioramento del tasso di natalità sino a richiedere l’introduzione di qualche forma di limitazione del diritto di aborto; anche in questo caso, nonostante le pressioni del Patriarcato[21]. Negli ultimi anni, l’ostilità nei confronti dei paesi occidentali è cresciuta in modo esponenziale, alimentata dalla propaganda ufficiale, ma non ha cancellato la convinzione che in essi si viva meglio[22]. Nessuno aspira a tornare al passato sovietico, ma la nostalgia che una maggioranza di russi, giovani compresi, dichiarano di provare per l’Urss di Brežnev fa emergere, oltre a una scarsa conoscenza di quel periodo, la diffusa convinzione che stabilità, sicurezza, status internazionale della Russia di oggi siano più effimeri di quanto sembri[23].

Il problema che il sistema Putin non riesce a risolvere riguarda più che la caduta del consenso che la sua qualità passiva e reattiva. L’isolazionismo può consentire il consolidamento dell’esistente, non indicare la strada per il mondo del futuro. La battaglia che il Cremlino sta combattendo in questo campo ha come primo obiettivo la conquista dei giovani. In conseguenza dell’insuccesso delle campagne per la natalità, anche in questo caso, la strada è in salita. I russi fra i 15 e i 29 anni non sono molti: poco più di 16 milioni, secondo il censimento del 2019. Hanno opinioni e comportamenti politici che differiscono da quelli delle generazioni che li hanno preceduti, anche se non in modo sostanziale. In particolare, dichiarano di seguire con scarsa attenzione la guerra in Ucraina; la sostengono, ma sono in maggioranza favorevoli alla cessazione delle ostilità. Si dichiarano patrioti, ma più dell’80% ritengono che l’interpretazione dei contenuti del patriottismo spetti al singolo cittadino. Per impedimenti oggettivi, pochi hanno piani di emigrazione all’estero, ma in Russia vivono nel mondo globalizzato di internet e delle reti sociali; solo pochi seguono la televisione, la cui informazione è ritenuta poco attendibile da 2/3 dei giovani fra i 18 e i 24 anni. Una ristretta minoranza si dichiara pronta a svolgere un ruolo politico attivo[24].

Dopo le “rivoluzioni colorate”, il Cremlino tentò di creare Naši, una sorta di Komsomol 2.0, fucina di nuove élite. Fallito miseramente il tentativo, ha ripiegato su obiettivi più concreti e immediati. Dal 2014 l’educazione militare dei giovani è divenuta parte integrante dei curricula scolastici; nelle scuole è stata introdotta la figura di “consigliere per le questioni civili e militari”, e ogni settimana si tiene la cerimonia dell’alzabandiera. Nelle attività extracurricolari sono state introdotte le “Conversazioni su questioni importanti”: un apposito sito del ministero dell’educazione guida gli insegnati nella scelta dei temi patriottici da promuovere. [25] Putin ha partecipato all’iniziativa tendendo una lezione agli studenti delle scuole medie nel settembre 2022. [26]

Come era prevedibile, la strategia di promozione dei valori tradizionali e patriottici fra gli studenti è sfociata nell’adozione di un manuale unico di storia patria. Della questione aveva parlato Putin nell’aprile 2013, lamentando la confusione didattica causata dalla presenza di 65 manuali[27]. A dieci anni di distanza, nel settembre 2013, i desiderata del presidente hanno trovato realizzazione con la pubblicazione di due manuali per i teen-agers dell’11^ classe: una Storia della Russia. 1945-inizio XXI secolo firmato da Medinskij e dal rettore del MGIMO Anatolij Torkunov, con in bella evidenza nella copertina il nuovo ponte di Crimea, e una Storia universale, che copre lo stesso periodo, per la quale il coautore della quale è, oltre all’immancabile Medinskij, lo storico e membro dell’Accademia delle scienze Aleksandr Čubar’jan. I titoli dei capitoli sul XXI secolo rendono lo spirito dell’opera: “Pressioni sulla Russia da parte degli USA”, “Falsificazione della Storia”, “Rinascita del nazismo”, “Il neonazismo ucraino”, “Colpo di stato in Ucraina nel 2014”, “Il ritorno della Crimea”, “Il destino del Donbass”, “Gli accordi di Minsk: cosa ne è stato?”; “Operazione militare speciale (SVO)”; “Il confronto con l’Occidente”; “Le nuove regioni”; “Ucraina, stato neonazista”; “SVO e società russa”; “La Russia paese di eroi”[28].

Non assistiamo a un ritorno al Breve corso di storia del partito comunista di staliniana memoria. Per motivi oggettivi, soprattutto: l’attuale manuale di storia si rivolge a un segmento ristretto di popolazione, al quale il regime non è in grado di impedire l’accesso ad altre forme di informazioni; può solo scoraggiarlo rendendo difficile e illegale. Ma un elemento comune è stato introdotto con l’approvazione del decreto presidenziale sull’educazione storica dell’8 maggio 2024, aperto dall’affermazione che “L’educazione storica è un’attività regolata dallo Stato per diffondere nella società conoscenze storiche affidabili e scientificamente fondate, al fine di formare una comprensione scientifica del passato e del presente della Russia, che è uno dei fondamenti dell’identità civica e della memoria storica collettiva di tutti i russi” (par.3)

In un momento di grande incertezza sulle sorti dell’Urss , compiti simili erano stati assegnato al Breve corso: solo chi è depositario della conoscenza “scientifica” degli eventi che legano il passato e al presente può rivendicare il diritto a guidare il paese , perché conosce non “ciò che dovrebbe essere” ma “ciò che sarà” . [29] In nome del ritorno al determinismo storico, il decreto del maggio 2024, ripete quasi ad ogni paragrafo i termini: scienza, scientifico, scientificamente. E li usa per legittimare: “la creazione di un’unica linea statale di libri di testo scolastici sulla storia (storia russa e storia generale), compresa la storia dei diversi territori locali, per ogni entità costitutiva della Federazione Russa” e “lo sviluppo e l’adozione di uno standard storico e culturale federale unificato” (par.12). Con involontaria ironia, dopo aver teorizzato l’esistenza di un pensiero unico in campo storico, il decreto individua fra i compiti prioritari “la formazione di personale scientifico e pedagogico e per svolgimento di ricerche nel campo della storia della Russia” e la creazione di “centri scientifici ed educativi di livello mondiale”. L’obiettivo reale, molto tradizionale, è il rafforzamento del controllo burocratico, come emerge dai passaggi dove si parla di “miglioramento del sistema di controllo della qualità dei contenuti dei programmi di educazione storica e culturale, compresi quelli sviluppati per la formazione del personale scientifico e pedagogico” e della “razionalizzazione delle attività delle autorità pubbliche e dei consigli di esperti” (par. 10 e 11).

Il deus-ex-machina dell’operazione è il presidente, coadiuvato da vari organi dello stato , fra i quali spicca il Consiglio di sicurezza (par.18). <<Soggetti della politica dello Stato nel campo dell’educazione storica sono le autorità pubbliche, le organizzazioni scientifiche ed educative, i centri accademici e universitari, le organizzazioni culturali e artistiche, le organizzazioni culturali ed educative, i mass media, le associazioni e le organizzazioni pubbliche e statali e altre organizzazioni senza scopo di lucro”. Tutte le organizzazioni coinvolte possono operare solo a condizione che la loro attività sia “finalizzata alla diffusione di conoscenze storiche affidabili e scientificamente fondate nella società, al sostegno e allo sviluppo del sistema della storia scientifica” (par.3)

In sintonia con i documenti ufficiali, la Russia è definita “un grande Paese di storia plurisecolare, uno Stato-civiltà che ha unito la Russia e molti altri popoli dell’Eurasia in un’unica comunità culturale e storica e che ha dato un enorme contributo allo sviluppo globale” (par. 5). Il tono generale del testo resta però difensivo, di contrasto ai “rischi e minacce” collegati alle “crescenti tensioni internazionali, alla crisi dell’identità nazionale, alimentata dalla distruzione della memoria storica, alla riabilitazione e dal rilancio del neocolonialismo, del neoimperialismo e del neonazismo (par.6)”.

Con burocratico ottimismo, il decreto termina con l’elencazione dei “risultati attesi” dall’operazione “manuale unico”, che si riducono in sostanza un programma minimo, volto a “conservare e rafforzare un’identità civile della Russia che sia fondata su un sistema di valori connaturato alla società russa, sull’amore per la patria, sull’empatia con la storia russa e sul rispetto per i nostri grandi predecessori” (par.21). Dirà il tempo se l’oleografia dell’isola Russia, preservata dal caos mondiale dalla consapevolezza della sua grande storia, potrà convertire le nuove generazioni a un patriottismo più sentito , e le potrà preparare per il mondo del XXI secolo. Per ora, una riconsiderazione della parabola della politica della storia ai tempi di Putin, suggerisce considerazioni sia ottimistiche che pessimistiche. Non siamo più ai tempi di Stalin o di Nicola I; la continua correzione della strategia in questo capo rivela una oggettiva difficoltà a fondare un consenso attivo e consapevole sulla diffusione dei miti della storia millenaria della Russia, della vittoria nel Grande guerra patriottica, dell’Occidente da sempre ostile. L’eventuale insuccesso dell’operazione “manuale unico” è uno dei fattori che potrà indurre la leadership a rivedere la politica di “educazione storica”, ormai divenuta una forma di indottrinamento di regime. Con pessimismo si può invece rilevare che da almeno quindici anni la “zone protette” della società (le università, l’alta educazione, le case editrici, i giornali e i media televisivi di nicchia) sono sottoposte a pressioni crescenti, alle quali hanno opposto una resistenza sporadica e individuale, con il risultato di perdere larga parte della loro residua autonomia. Senza una reazione di settori cruciali della società, e delle giovani generazioni, dalle quali proverranno le élite di domani, è difficile pensare a una inversione di tendenza. Non tutto dipende da Putin, e non si sa se questa è una constatazione confortante.


[1] Vladimir Putin, Messaggio all’Assemblea Federale, 8 luglio 2000, http://kremlin.ru/events/president/news/38302. V. Putin, Rossija na rubeže tysjačeletij (La Russia al passaggio del millennio), in «Nezavisimaja gazeta», 30 dicembre 1999.

[2] V. Putin (2003) Annual Address to the Federal Assembly of the Russian Federation. 16 May 2003; http://en.kremlin.ru/events/president/transcripts/21998.

[3] Per gli scritti di Surkov sulla “democrazia sovrana”, cfr. Vladislav Surkov, Teksty 1997-2007. Stat’i i vystuplenija (Testi, 1997-2007. Saggi e interventi), Moskva, Evropa, 2008.

[4] Vladimir Putin, Messaggio all’Assemblea federale, 25.04.2005, http://kremlin.ru/events/president/news/33220; Discorso e discussione alla Conferenza di Monaco sui problemi della politica di sicurezza, 10 febbraio 2007, http://www.kremlin.ru/events/president/ transcripts/24034.

[5] Peter Rutland, Andrei Kazantsev, The Limits of Russia’s ‘Soft Power’, “Journal of Political Power”, 9, 2016, https://doi.org/10.1080/2158379X.2016.1232287.

[6] Vladimir Putin, Brani scelti dell’intervento alla Conferenza nazionale russa degli insegnanti di materie umanistiche e sociali, 21 giugno 2007, in http://en.kremlin.ru/ events/president/transcripts/24359.

[7] Aleksander V. Filippov, Noveijšaja istorija Rossii, 1945-2007. Kniga dlja učitelja (Storia contemporanea della Russia, 1945-2007. Libro per gli insegnanti), Moskva, Prosveščenie, 2007; Istorija Rossii. 1900-1945 (Storia della Russia, 1900-1945), a cura di Aleksander A. Danilov e Aleksander V. Filippov, Moskva, Prosveščenie, 2009.

[8] Ol’ga Malinova, Aktual’noe prošloe. Simvoličeskja politika vlastvujuščej elity i dilemmi rossijskoj identičnosti (Il passato attuale. Politica simbolica dell’élite al potere e i dilemmi dell’identità russa), Moska, Rosspen, 2015, pp. 51-52; Jade McGlynn, Memory makers : the politics of the past in Putin’s Russia, Bloomsbury Academic, London, 2023, pp.38-41.

[9] Vladimir Putin, Intervista al Primo canale della TV russa e all’agenzia Associated Press, 4 settembre 2013, in http://kremlin.ru/events/president/news/19143 e Messaggio all’Assemblea federale, 12 dicembre 2013, in http://kremlin.ru/news/19825.

[10] Fabio Bettanin, Tra isola che non c’è e impero che non c’è più. Il conservatorismo nella nuova Russia, in “Ventunesimo Secolo”, 52, 2023, pp. 86-111.

[11] Osnovy gosudarstvennoj kul’turnoj politiki (Fondamenti della politica culturale russa), 24 dicembre 2014, http://www.kremlin.ru/acts/bank/39208. Sulla figura e sul ruolo di Medinskij, cfr.: McGlynn, Memory makers, pp.128-148.

[12] Scott Radnitz, Revealing Schemes : the politics of conspiracy in Russia and the post-Soviet region: Oxford University Press, New York, 2021; Ilya Yablokov and Precious N Chatterje-Doody, Russia Today and Conspiracy Theories. People, Power and Politics on RT, Routledge, London and New York, 2022.

[13]Pol’nij tekst popravok k Konstitucii: čto menjaetsija (Elenco completo degli emendamenti alla Costituzione: cosa cambia) , 14 marzo 2020, http://duma.gov.ru/news/48045/. Per una analisi complessiva delle trasformazioni politiche e istituzionali introdotte dal referendum, cfr.: Angela di Gregorio, Il presidenzialismo in Russia: da un modello ibrido a un sistema apertamente autoritario, DPCE on line, 1, 2023.

[14] D. G. Lewis, Russia’s New Authoritarianism Putin and the Politics of Order, Edinburgh University Press, Edinburgh 2020.

[15] Concetto di politica estera della federazione russa, 30 novembre 2016, http://static.kremlin.ru/media/acts/files/0001201612010045.pdf.

[16] Strategia di sicurezza nazionale della Federazione russa, 2 luglio 2021, http://kremlin.ru/acts/news/66098.

[17] Concetto di politica estera della Federazione russa, 31 marzo 2023, http://static.kremlin.ru/media/events/files/ru/udpjZePcMAycLXOGGAgmVHQDIoFCN2Ae.pdf.

[18] Vladimir Putin, Ob istoričeskom edinstve russkich i ukraincev (Sull’unità storica di russi e ucraini),12 luglio 2021, http://kremlin.ru/events/president/news/66181.

[19] Per un quadro storico più approfondito, cfr.: Paul Robinson, Russian Conservatism, Northern Illinois University, Dekalb, 2019, pp.3-8. Per una storia del conservatorismo russo, cfr. anche: Glenn Diesen, Russian Conservatism. Managing Change under Permanent Revolution, Rowman &Littlefield, Lanham, 2021; Mikhail Suslov, Dmitry Uzlaner (eds.), Contemporary Russian Conservatism. Problems, Paradoxes, and Perspectives, Brill, Leiden, 2019.

[20] Mikhail Suslov, From Uvarov’s ‘Triad’ to Kiriyenko’s ‘Pentabasis’: Conservative ideology in Russia, February 20, 2024, https://russiapost.info/politics/conservative_ideology.

[21] Vladimir Putin, Incontro con la Rappresentante per i diritti dei ragazzi Maria L’vova-Belovaja, 31.05.2024. http://kremlin.ru/events/president/news/74189

[22] Fra i tanti sondaggi di opinione in materia, mi limito a indicare: Patrioty i patriotizm, FOM, 9.06. 2022; Velikie strany: otnošenie k SŠA, ES, Kitaju, Ukraine i k graždanam etich stran, Levada Centr, 12.09.2023; Gordost’ i identičnost’, Levada Centr, 19.10.2020; Religija , in Obščestvennoe mnenie.2022., Levada Centr, Moskva, 2023, pp. 124-28.

[23] Fabio Bettanin, Nostalgia post-imperiale nella nuova Russia, in La politica della nostalgia, Marsilio, Venezia, 2023, pp.97-114

[24] In particolare: Dosug molodeži, Levada Centr, 16.07.20; Ivan Fomin, Putinism for kids:
How the Kremlin uses schools for ideological indoctrination, in “Russia Post”, 12.09.2022.

[25] Разговоры о важном (edsoo.ru).

[26] Vladimir Putin, Vstreča s škol’nikami, 1.09.2022, http://kremlin.ru/events/president/news/66554.

[27] Prjamaja linija s Vladimirom Putinym, 25.04.2013, http://kremlin.ru/events/president/news/17976.

[28] V.R.Medinskij, A.V. Torkunov, Istorija Rossii. 1945 god-načalo XXI veka, Prosveščenie, Moskva, 2023: V.R. Medinskij, A.O. Čubar’jan, Vseobščaja Istorija. 1945 god-načalo XXI veka, Prosveščenie, Moskva, 2023.

[29] Fabio Bettanin, La fabbrica del mito. Storia e politica nell’Urss staliniana, ESI, Napoli, 1996.