Diario della speranza russa

Lev Tulskij

Russia, 4 ottobre 2025 

Dall’Epigramma di Osip al messaggio
«Telegram» di Natale di Aleksej:
sul ponte della memoria la speranza attende la fine della tempesta

Il giorno senza senso 

Prima di ricominciare questo mio diario, ora devo raccogliere alcuni appunti buttati sulla carta in precedenza, e alcuni ricordi. Per esempio, il 16 febbraio 2024, quando ricevo il messaggio che non volevo: Aleksej Navalnyj è morto nell’IK-3 “Lupo Polare”. In un angolo della mia testa era semplicemente come registrato che recentemente per diversi giorni si erano perse sue notizie. Era dicembre e poi si era saputo all’improvviso tramite il suo avvocato che era stato trasferito oltre il Circolo Polare Artico. Sul suo canale erano infine arrivati addirittura i suoi auguri di Natale a tutti: «Sono il vostro nuovo Babbo Natale (…). E … probabilmente vi interesserà la questione dei regali. Ma sono un Babbo Natale a regime speciale, quindi solo chi si è comportato molto male li riceverà».

Il suo sorriso c’è, lo sai, sei sicuro che ci sarà sempre e comunque. E invece no, non c’è più. La notizia viaggia come pugno improvviso. Cammino senza meta. Telegram è il mio giornale, i canali dissidenti la mia aria. All’inizio silenzio, poi la conferma: Navalnyj davvero non c’è più. Non si muore “improvvisamente” a 47 anni in un carcere artico, lo sappiamo tutti. Dostoevskij scriveva che “l’uomo sopporta tutto, ma non la mancanza di senso”: ecco, in quel giorno il senso era di colpo crollato.

Il giorno dell’ennesima morte del senso, davanti alla metro di una città che non dico, un gruppo spontaneo di giovani cresce, io rimango un po’ con loro, ci diciamo a vicenda “grazie”. I giovani cantano sommessamente: “la Russia siede in prigione”. Già, qual è la mia patria, quella per le strade, quella in prigione, quella all’estero, quella al potere? È sempre stato un problema serio per noi russi. Quando non siamo d’accordo l’un con l’altro arriviamo anche a dirci: “Tu non sei russo!”. Succede negli altri paesi? Non lo so. Ma penso anche una cosa, tuttavia, che non posso tacere: non ricordo un liberale, un occidentalista, un democratico, che abbia detto a un conservatore o a un “patriota”: “Tu non sei russo!”. Al massimo, tu non sei un vero patriota. Invece l’accusa di non essere russi, il che è come se volesse dire che non sei umano, la fanno i simpatizzanti del potere a chi dissente.

Funerale, satira e la canzone-preghiera

Il primo marzo, primo giorno di primavera in Russia, il funerale. Il giorno prima per distrarmi avevo visto “Il Maestro e Margherita” nelle sale, versione coraggiosa, sorprendente, a volte la censura qualcosa fa passare. A un certo punto il protagonista assiste alla rappresentazione teatrale sovietica dove presto comparirà Woland, e lo sceneggiatore e il regista vi hanno aggiunto un elemento di satira politica che nel libro non c’è. Sul palcoscenico viene rappresentato un musical ambientato nel futuro, ovvero proprio nel 2022, e le ragazze sul palco cantano che le repubbliche sovietiche sono ora … le repubbliche di tutto il mondo. Scherzo coraggioso, ma la Russia è diventata di nuovo un romanzo satirico. Le autorità provano a negare, a spostare, ma il potere ha paura, a lui stesso non chiara, della madre di Aleksej e della folla. In migliaia con fiori e canti: “La notte passerà, il sole sorgerà”. «Il canto dei musicisti di Brema», la canzone di quel cartone animato che molti hanno sentito fin da bambini, che ora diventa preghiera, un Salmo laico.

Le donne reggono la fiaccola

Poi l’8 marzo, festa della retorica ufficiale sulle donne “madri e spose”. Io penso invece a Seda Sulejmanova rapita in Cecenia, a Lena Patyaeva arrestata per aver chiesto “Dov’è Seda?”, ad Aleksandra Skočilenko che sostituiva cartellini dei prezzi con messaggi contro la guerra, a Lilia Čanyševa che in tribunale dice: “Se mi tenete qui dodici anni non sarò madre”. Maria Ponomarenko, sei anni di carcere per aver raccontato il bombardamento del teatro di Mariupol, viene quasi spinta al suicidio in cella. Intanto Marina Ovsjannikova, che nel 2022 mostrò quel cartello in diretta tv, riesce a fuggire in Germania. Le donne pagano il prezzo più alto, ma sono loro a reggere la fiaccola.

Il sarcasmo che salva

Il sarcasmo corre nelle cucine e nei canali Telegram: “Se in Russia non ci sono prigionieri politici, perché i criminali parlano come filosofi e i giudici come banditi?”. È la vecchia ironia sovietica che risorge. Jurij Ševčuk, – che in precedenza in un concerto a Ufa aveva gridato «la patria non è il culo del Presidente!» (https://youtu.be/LaZ7PSTC9hQ?si=d5XEji8cWppzVc15), – canta ancora, in patria, e ringrazia pubblicamente Navalnyj di averci insegnato che “senza libertà la fede è fanatismo, il lavoro è schiavitù, l’amore è dispotismo”. 

Teatro elettorale, clan e vassalli

Arrivano anche le elezioni. Voto elettronico (il DEG), schede fasulle, urne manomesse. La battuta che gira: “Le elezioni in Russia sono come il teatro: i biglietti li paghi, lo spettacolo non cambia, ma se non applaudi ti arrestano”.

Putin intanto usa anche l’immigrazione illegale come strumento. La polizia chiude un occhio su reti di traffico, purché servano al potere. In Cecenia Ramzan Kadyrov governa come vassallo. Presenta suo figlio Akhmat come giovane eroe, mentre pesta a sangue quel giovane che in un momento di rabbia aveva bruciato il Corano: una dinastia che assomiglia a clan medievale più che a repubblica.

Crocus: la logica del terrore

E l’attentato al Crocus City Hall arriva e rosseggia come mera conseguenza logica: quasi 150 morti. Gli americani avevano avvisato, Putin aveva riso. Dopo la strage, il regime mostra i corpi torturati dei sospettati, orecchie mozzate, scosse elettriche. Non è giustizia, è costrizione. E mentre si predica “unità nazionale”, cresce la xenofobia: tagichi aggrediti, donne con velo insultate. Beslan 2004 ritorna come fantasma: anche allora la tragedia servì a restringere spazi di libertà. E così fu ancora prima, nelle grandi città, proprio nei giorni delle elezioni di Putin: ce lo ricorda un bel documentario in rete della squadra di Navalnyj: https://youtu.be/GioQp_j74eY?si=R7sTaFPQx97y0IyA.   

La marcia delle pentole vuote

Ad aprile la televisione parla di icone avvelenate e dentifrici tossici “diffusi dagli ucraini”. L’assurdo diventa comico da sé stesso. Poi il 6 aprile scoppia un rumore diverso: alle cinque del pomeriggio, le mogli dei soldati battono pentole e padelle vuote sui balconi. Lo chiamano “la marcia delle pentole vuote”. La protesta più elementare e più sonora. Nei canali qualcuno scrive: “Le nostre cucine sono vuote, ma almeno la patria è piena di slogan”.

I nomi e i giorni del carcere 

Nel frattempo altri nomi si aggiungono alla lista dei prigionieri: Ilja Jašin, in carcere dal giugno del 2022, che sarebbe stato poi liberato grazie al noto scambio internazionale nell’agosto del 2024, viene un giorno messo in cella di rigore per aver tolto la giacca a colazione; Antonina Favorskaja che sorride in tribunale dicendo “Grazie per essere qui!”, il giovane filosofo Vsevolod Korolev condannato a tre anni per un video e una poesia, e la pena che gli viene allungata il giorno prima che doveva uscire. E Gorinov, il primo politico incarcerato, è ancora lì, tuttora: nel luglio 2022 Aleksej è stato condannato a sette anni di carcere secondo la legge sulle “fake news” sull’esercito russo. Il motivo della persecuzione è che Gorinov propose di dichiarare un minuto di silenzio “per le vittime dell’aggressione militare in corso in Ucraina” durante una riunione del consiglio dei deputati municipali del distretto Krasnoselskij di Mosca tenutasi nel marzo del 2022. Battute amare corrono: “In Russia due mestieri non finiscono mai: costruire carceri e scrivere poemi proibiti”.

Angeli e film noir

Ad agosto 2024 scrivo nel mio diario di Pavel Kušnir, giovane pianista, morto dopo una protesta estrema, e Aleksandr Demidenko, volontario per rifugiati, ufficialmente “suicida”. Li chiamo l’angelo giovane e l’angelo vecchio. A novembre annoto: “La Russia è un film noir, con sangue e menzogne, ma anche lampi di bellezza possibili”.

Filetismo: il cristianesimo di guerra

Il patriarca Kirill invece continua a parlare di sacrificio, di “cristianesimo di guerra”. È la rinascita del filetismo, l’eresia condannata nel 1872 che confonde fede e nazione. Putin e Kirill venerano Aleksandr Nevskij, principe medievale e santo guerriero, come patrono della Russia militarizzata. Le processioni lo celebrano come difensore eterno. Ma io penso a Tolstoj che predicava non-violenza, a Pasternak che vedeva nella compassione la misura dell’uomo, a Bulgakov che ridicolizzava i tiranni, a Šalamov che raccontava i Gulag senza eroismo, solo dolore. E penso a Osip Mandel’štam, morto anche lui come Navalnyj in Siberia, ufficialmente per una malattia. In seguito a un Epigramma a Stalin, fu perseguitato. Sua moglie, Nadežda, riuscì a conservare e pubblicare la sua opera. “Nadežda”, “la speranza” in russo, non muore.

I credenti che dissentono

Eppure altri ortodossi esistono. Preti che nel marzo 2022 firmarono una lettera contro la guerra, come padre Ioann Burdin e padre Georgij Edel’štejn. Preti che hanno lasciato il Patriarcato per coscienza. Padre Grigorij Michnov-Vojtenko che osa celebrare i funerali di Navalnyj. Gruppi che pregano per la pace, che rifiutano l’icona del missile benedetto. Anche i cattolici, minoranza sorvegliata, organizzano veglie, messe sobrie. Qualcuno scherza: “I cattolici pregano per la pace, gli ortodossi ufficiali pregano per i missili. Dio dovrà scegliere a chi dare ascolto”.

Internet «sovrano»

Intanto la rete web si stringe. Dal 2019 la legge sull’“internet sovrano” esiste, ma nel 2024–25 Roskomnadzor la applica con ferocia. DNS nazionali, blocchi alle VPN, obbligo per i canali con più di 10.000 iscritti di consegnare i dati. Nel 2025 diventa reato anche solo cercare contenuti “estremisti”. Telegram e WhatsApp subiscono restrizioni alle chiamate vocali. Nelle librerie spariscono gli autori “agenti stranieri”.  È la nuova versione del 1929, quando i libri di Trockij furono ritirati dagli scaffali. Ma qui c’è molto più di Trockij, signori. Qui c’è un paese che sembrava essersi ricongiunto al Secolo d’Argento delle riforme e forse aver anche fatto risorgere i decabristi, e che invece è stato accecato e ammutolito dalla propaganda della «stabilizzazione dopo le congiure e le invadenze straniere degli anni ’90». Nei canali corre la battuta: “Abbiamo un internet sovrano, presto anche un’aria sovrana. Respirare solo con permesso”.

Grottesco burocratico-nostalgico a scuola, aneddoti di cella, mosaici di missili e «valori»:

«Il libro proibito in carcere non lo abbiamo, ma posso portarle l’autore, se desidera»

Di recente il governatore di Belgorod, Vjačeslav Gladkov, in un incontro con la giunta regionale, propone di coprire le finestre delle scuole con vecchi libri di testo durante i bombardamenti. La Commissione per l’Istruzione della Duma di Stato non ha appoggiato l’idea di Gladkov. In un commento a Pod’yom, il primo vicepresidente della commissione, Michail Berulav, ha sottolineato che coprire le finestre con vecchi libri di testo “in nessun caso” dovrebbe essere fatto. Egli ha spiegato la sua posizione non con la sicurezza degli studenti, ma con il fatto che i vecchi libri “dovrebbero essere conservati per la storia“, poiché “le scuole sovietiche erano tra le migliori al mondo“.

Il sarcasmo cresce in carcere. Nasce un nuovo aneddoto: un detenuto chiede un libro proibito, la guardia risponde: «Il libro proibito in carcere non lo abbiamo, ma posso portarle l’autore, se desidera». È la sintesi perfetta della nostra condizione. Mesi di processi, condanne per “fake news”, per “estremismo”. Gli insegnanti obbligati a indottrinare i bambini, i disegni pacifisti censurati. Le famiglie potenti celebrano “valori tradizionali” mentre i loro scandali riempiono le cronache. Le chiese dedicate alla guerra sorgono nei parchi, i mosaici raffigurano missili. Intanto Memorial e OVD-Info pubblicano liste aggiornate di prigionieri politici: centinaia, migliaia.

Raduni “denazificanti” di neofascisti da tutto il mondo

Eppure non pochi miei compatrioti non cedono alla paura, continuano a scrivere su vkontakte, non potendo più esprimersi nelle piazze, ma rischiando altrettanto. Io stesso cerco di disintossicarmi dal veleno sia dello squallore che del sarcasmo che vuole reagirvi, e trovo appunto su Vkontakte una testimonianza di coscienza critica da parte di un amico pensante di San Pietroburgo, ma la notizia che riporta è di nuovo triste, e la forza è di nuovo nel sarcasmo: «Questo mese, la mia patria si è dimostrata il principale luogo di ritrovo del fascismo globale. Un congresso internazionale di movimenti di estrema destra – beh, di fatto movimenti fascisti – si è tenuto al Palazzo Mariinskij. Tra i partecipanti c’erano gli eredi dei Falangisti Islamici, gli stessi che presero parte all’assedio di Leningrado. E’ significativo: fa “rima” con il fatto che si siano riuniti a San Pietroburgo. L’altro ieri, l’oligarca ortodosso Konstantin Malofeev ha pubblicato un resoconto di questo evento, annunciando che la conferenza fondativa della Lega Internazionale si è tenuta nella capitale imperiale – beh, San Pietroburgo, sì, la capitale imperiale dello stato russo. E cosi che la chiama, la Lega Internazionale degli Antiglobalisti. 50 delegati da tre continenti, di quindici organizzazioni patriottiche di destra. La principale era quella di difendere i valori cristiani nella lotta per l’identità nazionale e nella resistenza al nemico principale, il globalismo e la comunita LGBT. Beh, in pratica, il solito gruppo. La parte russa includeva Aleksandr Dugin, naturalmente – come potrebbe essere altrimenti? Il sacerdote Vladimir Malyšev? Certo. E Konstantin Čebykin, deputato di Russia Unita alla Duma di San Pietroburgo. Non so chi sia, ma per quanto riguarda gli altri, la faccenda è oltremodo chiara. La conferenza è iniziata con una commemorazione cristiana. E’ stato osservato un minuto di silenzio in onore dell’attivista conservatore americano Charlie Kirk, che, dopo il suo assassinio, è diventato un eroe della propaganda russa e della destra russa. Ha continuato Malofeev: “Quindi, naturalmente, abbiamo discusso su come combattere la Sodoma e Gomorra globale. Abbiamo adottato un piano d’azione” e cosi via. Chi c’era ancora? Il partito politico spagnolo e della falange dei sindacati dell’offensiva nazional-sindacalista. Sono, di fatto, fascisti puri. I suoi sostenitori fanno apertamente il saluto nazista e onorano la memoria dei combattenti della Divisione Blu. Questi sono gli stessi soldati che hanno combattuto nella Wehrmacht e partecipato all’assedio di Leningrado. E poi membri di un’organizzazione messicana, la principale organizzazione nazionalsocialista messicana. Ha preso la parola anche Alain de Bonnois, filosofo e ideologo francese del movimento fascista francese, nonché teorico della cospirazione di destra e sostenitore del movimento fascista. E’ intervenuto anche Alexander von Bismarck, discendente del cancelliere tedesco Bismarck, che ha sempre sostenuto la destra tedesca, inclusa Alternativa per la Germania (AfD)». Ecco cosa succede nel paese che vuole denazificare i suoi vicini.

Memoria contro propaganda e il vero Giorno della Vittoria

Dicevo del coraggio di chi scrive ancora sui social: coraggio anche nel fare autocritica storica di popolo, rinfrescando la lettura degli ultimi diari di Lenin, in cui egli stesso riconosceva di aver sbagliato tutto, raccontando apertamente che nella Russia sovietica neanche Marx era veramente studiato, o che molti liberatori sovietici in Germania si abbandonarono a stupri di massa che dire «evitabili» è un l’archetipo di tutti gli eufemismi. E questo non perché noi non siamo orgogliosi di quei nonni che perirono o soffrirono contro il nazifascismo e durante l’assedio di Leningrado: il punto è che loro lo fecero non per giustificare invasioni o repressioni future, o per annullare la libertà della ricerca storica o per chiudere gli archivi, ma per costruire un cielo limpido sopra le nostre teste pensanti. La resistenza nel presente è anche la costruzione clandestina di un ponte nuovo con il passato. 

E se torniamo a ricordare solo la fine di quella guerra in quanto tale, – peraltro orgoglio più del popolo che dei generali e del dittatore georgiano sovietico, – allora ecco il vero Giorno della Vittoria: Memoria. Tristezza. Lacrime. Nessuna festività. Nessuna farsa. Nessuna parata. Il punto principale: mai più. Siamo nel 1971. Il finale del film “Un minuto di silenzio”. Guardatelo: https://youtu.be/SQv6Fg0oPeM?si=we4Ag1rwj9gy0ecN

L’inerzia dei “confini”

Chi studia da noi Relazioni Internazionali anche a livello semplicemente storico e costretto ora a fare continuo riferimento alla geopolitica, ergo – allo spazio euroasiatico, anche quando l’oggetto della propria ricerca è tutt’altro. L’Ucraina farebbe parte di questo spazio euroasiatico, punto. L’inesistenza assoluta di accordi che confermino questa “verità” non ha nessuna importanza, perché tutto viene giustificato in nome della geopolitica, e non del diritto internazionale. Nelle università i professori pifferai del potere fanno più male soprattutto nelle facoltà di lettere e filosofia. Lo «spazio euroasiatico» è bibbia, e la «geopolitica» è la nuova morale assoluta. Putin procede sul solco di quella antica nostra inerzia espansionistica, nel senso di forza di inerzia che ci spinge a non rispettare i confini per il semplice motivo che non abbiamo monti e colline a segnalarceli.

Specchi deformanti

Penso anche a certa nostra massa che quando il canale, unico de facto, in televisione mostra che in Europa fanno manifestazioni, protestano contro i governi quando lo ritengono opportuno, – a torto o a ragione, non è questo il punto, – non pensano «e perché noi non possiamo?», ma «vedi, quegli idioti e quei malvagi russofobi nonostante tutto riescono anche a protestare e a dare ragioni ad alcuni nostri argomenti, perché la nostra verità risplende a tal punto, che neanche loro riescono a non vederla».

Sovranità oscillante e missili di plastica in automobile

E così un altro giorno sempre la stessa persona, il Presidente, può dire che “o la Russia sarà sovrana, o semplicemente non sarà!”. Ossia il registro cambia improvvisamente, e la motivazione non è più la missione di superpotenza, ma il diritto a sopravvivere come “stato sovrano”! Si oscilla senza paura del ridicolo da un estremo all’altro. E l’altro ieri lungo la Prospettiva Nevskij passavano di nuovo, strombazzando con i propri clacson, tre automobili di idioti, loro sì idioti a tutto tondo e a tutto gas, che mostravano un enorme missile di plastica, gonfiato d’aria come un canotto, con su scritto “dritto su Washington!”. Qualcuno potrebbe mandarne una foto a Trump, così si renderebbe conto fino in fondo con chi ha a che fare, ossia quale parte idiota del mio popolo Putin cavalca? E davvero perdiamo ogni senso della misura e direi dell’autocensura, quella buona, quella che dovrebbe essere nelle nostre coscienze, e non piovere dall’alto sulla vera libertà.

Le cattedrali della SVO

E ancora sulle cattedrali al Dio della Guerra. Sì, perché la paura anche può molto. Per esempio in estate gli abitanti della cittadina di Puškin appena fuori San Pietroburgo hanno, inutilmente, protestato contro l’edificazione della “Chiesa” dedicata alla SVO. Il religioso più influente di Puškin è Gennadij Zverev, parroco della Cattedrale di Santa Sofia. Beh, si tratta semplicemente di un mafioso al soldo della FSB. Il punto è che gli abitanti di Puškin che hanno protestato hanno cercato di farlo nella maniera più mite e indolore, mettendo in discussione non l’opportunità della costruzione in sé, battaglia ormai persa in partenza, ma quella della sua collocazione dentro la cittadina. Hanno chiesto semplicemente di collocarla leggermente più fuori mano. È stato inutile, Zverev e compagni sono fin troppo sicuri del fatto loro. Ecco fatti ordinari di fascismo e criminalità di casa nostra.

Memorie selettive: Bandera e Vlasov

E noi vogliamo denazificare l’Ucraina, e per giustificare tale delirio andiamo a scavare nella storia la memoria di Stepan Bandera, che comunque si fece più di due anni di lager tedesco a Sachsenhausen. Collaborazionista? Diciamo pure di sì, ma fu l’unico in Unione Sovietica? Ci siamo dimenticati del «nostro» generale Andrej Vlasov, giustiziato nel 1946 dopo che per tutta la guerra tentò di rovesciare Stalin? Vlasov, a differenza di Bandera, non sperimentò neanche il lager tedesco. Noi venivamo dagli anni ’30, quelli delle grandi repressioni, e dopo la guerra ne sarebbero seguite altre. Qualcuno tentò di usare il nemico esterno di turno per vincere quello interno. Tradimento? Diciamo di sì, ma fu un tradimento diffuso, non certo solo del popolo ucraino.

Il diritto al sorriso strappato anche in cucina, l’onore dei repressi

E ho camminato fino ad ora, fermandomi solo per parlare in cucina con chi la pensa come me, come ai vecchi tempi, anche se l’uccisione di Aleksej è come se ci avesse strappato anche il diritto di sorridere in cucina. Prima a volte si riusciva ancora a sorridere anche davanti alla televisione, quando in una delle pochissime trasmissioni pubbliche ancora leggermente liberali, il «club Valdai», il conduttore aveva potuto scherzare con Putin dicendo «Lei dice che noi tutti andremo di sicuro in paradiso, ma, dico, non c’è fretta, vero?». Una boccata d’aria per l’anima la prenderò ad esempio quando il 30 ottobre andrò ad onorare le vittime delle repressioni.

Vuoto politico, sopravvivenza dello spirito: il canto dei fiori sulla palude

È autunno pieno ormai, e scrivere significa combattere la stanchezza. L’abitudine al dolore è la nostra vera nemica. Kant diceva che “dal legno storto dell’umanità non si può costruire nulla di perfettamente diritto”. Noi viviamo dentro un legno storto, ma non smettiamo di segnare i nodi. Vuoto politico, sopravvivenza dello spirito.

Ogni voce fragile è necessaria. Ogni sarcasmo è resistenza. Ogni preghiera silenziosa è un «no!» al potere. La notte continua, ma ciascuno di noi è piccola fiamma che, anche nella tempesta, non si spegne. Una fiamma nella tempesta o un fiore nella palude. Ricordo un sogno che feci a tredici anni. Un piccolo prato, tanti fiori strani intorno a me ancora non sbocciati, come sofferenti di non poter ancora fiorire e …. parlare. E io allora che mi decido a parlare al posto loro, e la mia voce misteriosamente li raggiunge, e loro cominciano a bisbigliare, sempre più forte. E alla fine è un canto, una voce così diversa da quella costante degli altoparlanti negli autobus e nelle metropolitane che invita i giovani a firmare contratti ricchi con le forze armate, trovando terreno fertile tra i miseri e gli ubriachi delle regioni.

Il canto dei fiori al margine di un’enorme e minacciosa palude.

Questo sarà per ora il mio diario.