Dmitrij Trenin, il progetto di una «Nuova Ucraina» e il parallelo con la DDR

Alberto Masoero

Come immaginano la conclusione della guerra e il futuro dell’Ucraina gli esperti russi di politica internazionale? Il testo tradotto qui di seguito può fornire qualche spunto almeno sul modo di ragionare e sulle opzioni prese in considerazione nel dibattito. È interessante in primo luogo per il profilo dell’autore. Dopo una formazione militare e probabili incarichi nell’intelligence sovietica, Dmitrij Trenin insegnò brevemente al Collegio militare della Nato a Roma nel 1993 ed entrò a far parte del Carnegie Endowment for International Peace di Washington nel 1994, di cui ha diretto il Moscow Center a partire dal 2008. Soprattutto nei primi anni duemila Trenin si è distinto tra gli internazionalisti russi per lo sforzo di voler rappresentare un ponte con l’Occidente, animato da una «personal mission to facilitate mutual understanding between Russia and America»[1] ricchissima di contatti e relazioni al massimo livello. Chi conosce i suoi ragionamenti di quegli anni rimane sbalordito a leggere oggi come egli utilizzi con disinvoltura perentoria il concetto di «civiltà» o «mondo russo», così lontano dai riferimenti analitici dei suoi scritti originari e segno di un’avvenuta immedesimazionenell’ortodossia patriottica, oltre che stimolo a riflettere meglio su cosa significhi e abbia significato storicamente «occidentalismo» nella cultura politica russa. Oggi Trenin dirige l’Istituto di economia e strategia militare mondiale della Scuola superiore di economia (Vysšaja Škola Ekonomiki) di Mosca, un tempo la migliore e più cosmopolita delle università russe. Ha pubblicato recentemente un pamphlet in cui argomentava la necessità di una dottrina nucleare più aggressiva (Dalla deterrenza all’intimidazione[2]), insieme all’ammiraglio Sergej Avakjanc e a Sergej Karaganov, preside della Facoltà di economia e politica mondiale della stessa Scuola superiore di economia e presidente del Consiglio per la politica estera e di difesa, autore famoso anche per aver esortato pubblicamente nel 2023 all’impiego delle armi nucleari contro i paesi dell’Europa centro–orientale[3].

Sarebbe però fuorviante leggere questo testo come una rivelazione sulla posizione negoziale russa in vista di possibili trattative di pace, eventualità tutt’altro che scontata e che dipende da molti fattori (non solo russi) che, semplicemente, non conosciamo[4]. L’autorevolezza politica di interventi come quello qui presentato non va sopravvalutata. Nonostante le cariche accademiche e istituzionali altisonanti, non sono certo i Trenin o i Karaganov a decidere la politica putiniana, e nemmeno personaggi come Fëdor Luk’janov, direttore di «Russia in Global Affairs», la principale rivista russa di relazioni internazionali. Queste figure di esperti internazionalisti non svolgono oggi in Russia un ruolo paragonabile a quello che fu di Henry Kissinger o di Zbigniew Brzezinski nella formulazione della politica estera statunitense. Più che ispiratori di una strategia politica sono mosche cocchiere, commentatori intelligenti che si adeguano agli eventi e adattano le proprie analisi alle scelte compiute al vertice.

Le sedi decisionali della politica russa sono altre e più opache, all’intersezione tra la volontà del leader e comandi militari, servizi di sicurezza, apparato dell’Amministrazione presidenziale e magnati o gruppi clanici informali dotati di accesso al presidente, come quello dei fratelli Koval’čuk. Sono personaggi e strutture che hanno propri, autonomi centri di elaborazione politica. Ben più importanti degli studiosi di relazioni internazionali sono, ad esempio, figure come Nikolaj Patrušev, fino a poco tempo fa presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa[5] o Sergej Kirienko, dirigente dell’Amministrazione presidenziale e oggi responsabile della «integrazione» delle «nuove regioni». Assai influenti sono alti funzionari di estrazione militare come AleksejDjumin (in passato vicino a Evgenij Prigožin) o Dmitrij Mironov (responsabile di tutta la «politica dei quadri» dello Stato russo). Entrambi hanno iniziato la propria carriera non nelle facoltà di relazioni internazionali o nel Ministero degli esteri, ma come ufficiali del Servizio federale della sicurezza (FSO), la sicurezza personale del presidente (l’equivalente russo del Secret Service statunitense). Non parlano spesso in pubblico e non scrivono sulle riviste scientifiche.

La sequenza delle analisi degli esperti russi di politica internazionale rivela un’evoluzione contraddittoria, più che la formulazione di un progetto. Ancora il 19 gennaio del 2022 Karaganov scriveva che «non abbiamo assolutamente bisogno di combattere per l’Ucrai­na», ipotesi che riteneva «lo scenario peggiore»[6]. Il primo commento di Luk’janov all’invasione tradiva sorpresa, sgomento e persino un malcelato dissenso[7], poi superato da editoriali che, nell’autunno del 2024, celebravano e razionalizzavano il trionfo di un nuovo mondo nascente in concomitanza del vertice dei paesi Brics a Mosca. Un mese prima della guerra lo stesso Trenin la riteneva un’eventualità improbabile e contraddiceva platealmente i principi in materia di sicurezza che sarebbero diventati assiomatici nelle dichiarazioni ufficiali della Federazione russa. Riconosceva che le «proposte» putiniane del dicembre 2021, pur formulate in tono ultimativo, avevano ottenuto concessioni negoziali importanti da parte statunitense, come la disponibilità a ridiscutere la limitazione degli armamenti in Europa o l’impegno reciproco a non svolgere esercitazioni in prossimità dei confini. Affermava persino (alla vigilia dell’invasione) che «nessun ampliamento della Nato, compresa l’inclusione dell’Ucraina, minaccia l’equilibrio militare e la stabilità della deterrenza» e che «sul piano della sicurezza militare, effettivamente non ritengo l’ampliamento della Nato una minaccia così grave»[8]. Insomma delineava, con il tono dell’analista intento a descrivere la realtà oggettiva sul campo, una prospettiva completamente diversa da quella adottata dai vertici del regime.

Non sappiamo come andrà a finire. Ignoriamo cioè la serie di transazioni e considerazioni di opportunità che oggi potrebbero indurre l’amministrazione russa ad accettare questa o quella proposta di risoluzione del conflitto. L’esercizio putiniano del potere ci ha abituati allo stile di una gestione duttile e altamente strumentale di simboli e personaggi diversi, in cui a volte si mandano avanti figure del nazionalismo più radicale e militarista come Igor’ Girkin o Prigožin, per poi richiamarli all’ordine o sopprimerli. Alterna regolarmente retoriche estreme e ricerca del negoziato da posizioni di forza. Il testo che segue va letto piuttosto come documento di una mentalità diffusa e di un modo di ragionare, tenendo presente che non riflette l’ambiente di «ultra–patrioti» estremisti o marginali, né i ragionamenti di telespettatori accecati dalla propaganda. Emerge, al contrario, dall’establishment accademico–diplomatico russo un tempo più cosmopolita e occidentalizzato.

L’intervento qui tradotto parte dal presupposto che la Russia abbia già sostanzialmente vinto la guerra. È una convinzione ottimistica emersa nelle dichiarazioni putiniane fin dall’estate 2023, dopo il fallimento dell’ammutinamento di Prigožin e della controffensiva ucraina, convinzione ribadita con enfasi nell’ultima Linea diretta presidenziale del 19 dicembre 2024[9]. Si tratta ora – così ragiona Trenin – di progettare la «pace». Le proposte concrete sono argomentate sulla base di una serie di affermazioni assiomatiche ampiamente diffuse, postulati su cosa sia o non sia la «realtà del mondo moderno», di chi appartenga a che cosa in  virtù della relativa civilizzazione millenaria, di cosa sia «la Russia» piuttosto che «l’Ucraina», dove inizi la prima e dove finisca la seconda, attestazioni incontrovertibili motivate da un diritto divino della storia o da una mappa catastale della geopolitica. Non per caso Arnold J. Toynbee è citato espressamente nei materiali del grande progetto governativo di educazione patriottica denominato «Il DNA della Russia», oggi esteso progressivamente a tutte le università regionali[10]. 

È utile confrontare queste definizioni, ad esempio l’affermazione che «Crimea, Donbass e Novorossija sono entrate a far parte della Federazione Russa tramite referendum», con la concretezza prosaica di alcuni materiali interni divulgati dai media russi dell’emigrazione, una serie di slides con cui probabilmente i funzionari dell’Amministrazione presidenziale descrivevano riservatamente al leader le difficoltà da superare per realizzare i famosi referendum del settembre 2022. La prima di queste slide riepilogava il numero dei residenti (4,1 milioni) e degli aventi diritto al voto (2,18 milioni) nella regione di Doneck, per poi evidenziare in rosso con punto esclamativo: «Problema 1: manca un elenco degli elettori. Problema 2: nei territori liberati resta circa 1/3 della popolazione»[11]. Conviene leggere le parole di Trenin sul «sogno di autodeterminazione che ha animato numerose generazioni di ucraini» accanto al racconto pacato del sindaco di Cherson Igor’ Kolychaev del 5 aprile 2022, il quale spiegava come le autorità militari russe si fossero presentate al suo municipio munite di elenchi dettagliati di tutti i dipendenti comunali e delle relative carriere, allo scopo di individuare i soggetti da arrestare, espellere o corrompere[12]. Non sono le pratiche di un genocidio – definizione che ostacola la comprensione degli eventi – ma di una integrale desovranizzazione, cioè l’espulsione delle figure di autorità o autorevolezza storicamente formatesi nella comunità locale (la preside di una scuola piuttosto che un sindaco regolarmente eletto, un imprenditore facoltoso piuttosto che una blogger locale), seguita dalla «riformattazione» della popolazione (è parola ricorrente nel lessico politico russo e utilizzata anche da Trenin: come si formatta l’hard disk e si aggiorna il sistema operativo degli individui), cioè l’inclusione forzosa nelle strutture mentali, economico–sociali e di potere del relativo «mondo’ di appartenenza (ad esempio condizionando l’accesso a servizi assistenziali come sanità o pensioni alla richiesta spontanea del passaporto russo). Parole come identità, autodeterminazione o volontà popolare vanno correlate a questo contesto.

La geografia della pace prefigurata in questo articolo stride con le tante opzioni affiorate nel dibattito occidentale, l’elenco di esempi storici utilizzati per descrivere possibili formule di compromesso: dalla «finlandizzazione» dell’Ucraina (neutralità e conservazione di una sovranità democratica) alla variante più coriacea di una neutralità «svedese’ (neutralità sorretta da ragguardevole potenza militare), dall’ipotesi delle «due Coree», cioè un cessate il fuoco di fatto che permetta la sopravvivenza parziale di un’Ucraina indipendente, alle varianti che prevedono la rinuncia ad alcuni territori in cambio di un’adesione dell’Ucraina alla Nato o almeno di ipotetiche garanzie di sicurezza. Comprensibilmente, chi ha interpretato la guerra come l’esito di una politica dell’Occidente tende oggi a immaginare la pace come il risultato del mutamento di questa stessa politica, ad esempio la sostituzione di Biden con Trump, la cessazione degli aiuti militari all’Ucraina o una maggiore disponibilità alla trattativa. In verità nessuno degli scenari sopra elencati è preso in considerazione nel testo qui tradotto. Al contrario, un’Ucraina «ridotta nei confini rispetto al 2022» appare a Trenin come l’ipotesi «meno accettabile e la più pericolosa per noi». L’affermazione discende logicamente dalla persuasione, esplicitata in un altro intervento di questo autore, secondo cui l’Ucraina non rappresenterebbe uno Stato, sia pure politicamente ostile o persino belligerante, ma «il nucleo storico della statualità russa»[13]. Per cui, secondo questo modo di ragionare, non è questa o quella configurazione di assetti diplomatici o militari a rappresentare una minaccia oggettiva alla sicurezza o persino alla «sovranità» della Federazione russa, ma l’esistenza stessa di questa entità statuale confinante in quanto soggetto politico autonomo.

L’autore immagina invece uno Stato ucraino che, grazie all’imminente vittoria, ha già smesso di esistere (coerentemente con le reiterate dichiarazioni ufficiali russe sull’illegittimità della presidenza Zelenskij e dell’Ucraina post–2014) e dovrà assumere una configurazione tripartita, una vera e propria spartizione[14]. In primo luogo vi sono i territori che già fanno parte «ufficialmente» della Federazione russa, e che secondo Trenin potrebbero ampliarsi ulteriormente con Char’kiv, Odessa e persino Dnipro (Dnepropetrovsk). A occidente rimarrebbero le regioni intorno a Leopoli, una convenzionale ‘Galizia’ «ridotta a massa sub-critica» dove verrebbero esiliati gli elementi ostili. Al centro – ed è la novità di questa proposta – dovrebbe restare una «nuova Ucraina», uno Stato satellite che la Russia putiniana dovrà costruire e plasmare nel tempo, con pazienza e ferma determinazione, senza escludere affatto la futura inclusione anche formale nello Stato russo. Merita attenzione l’affermazione secondo cui «la Russia ha una solida esperienza storica nella trasformazione di nemici in amici o cittadini affidabili». Rinvia non solo a politiche recenti verso la Georgia, tentativi verso la Moldavia o l’annessione strisciante della Bielorussia, ormai avvenuta, ma anche a una consuetudine storica in cui l’espansione imperiale, diversamente dal modello coloniale, fu tradizionalmente seguita da cooptazione e depotenziamento delle élites locali, graduale integrazione dei territori conquistati nelle gerarchie di potere e poi persino immedesimazione della popolazione con lo Stato conquistatore e la sua simbologia politica[15].

Per descrivere il futuro di questa nuova Ucraina, progettata a Mosca, Trenin usa l’analogia con la Repubblica democratica tedesca e più in generale dello spazio dell’Europa orientale, ovvero «l’esempio della DDR e di altri Stati satelliti della Germania nazista dopo la Seconda guerra mondiale». Il parallelo riflette una tendenza più generale che caratterizza oggi il discorso pubblico russo in modo quasi ossessivo, cioè l’attitudine a descrivere gli eventi (persino con un certo grado di sincerità, crediamo) alla luce dell’immedesimazione con lo scenario della Seconda guerra mondiale. Il sogno di ‘tornare al 9 maggio del 1945’ agisce oggi in profondità nella coscienza della classe dirigente russa ben al di là di uno stratagemma propagandistico, piuttosto come una sorta di utopia retrospettiva (Andrzej Walicki) o di retrotopia (Zygmunt Bauman): «dopo la nostra vittoria nell’Operazione militare speciale tutto tornerà al punto di partenza, come nel 1945»[16].

Resta una lieve differenza. La DDR fu effettivamente la parte smembrata di uno Stato sconfitto, la Germania nazista, che aveva dato l’assalto al potere mondiale e imposto ai cittadini sovietici (compresi almeno sei milioni di morti ucraini) un’occupazione di cui è impossibile esagerare la ferocia. Fu l’esito di una guerra maturata nel contesto storico degli anni Trenta, quando i progetti espansionistici dell’Italia fascista, della Germania nazista e, a Oriente, dell’imperialismo giapponese, insieme all’isolamento politico–ideologico dell’Urss, rendevano plausibile l’autorappresentazione di una fortezza assediata. Nulla di tutto ciò è avvenuto dopo il 1991, decenni caratterizzati da una smilitarizzazione senza precedenti dell’Europa e dalla formazione di una Germania unita mai così pacifista nella propria storia, oltre che dalla denuclearizzazione volontaria di Ucraina e Kazachstan. Il rapporto tra questa DDR simbolica e la storia è simile a quello che intercorre tra la retorica della famiglia tradizionale e la realtà di un paese in cui il tasso dei divorzi supera di quattro volte quello italiano. Eppure è un parallelo storico insieme posticcio e cogente. Il sogno di un nuovo 9 maggio rappresenta la formula retorica, post–modernamente caricaturale con cui si esprime una volontà di potenza del tutto autonoma e nuova, che come tale va compresa. «Per i cittadini comuni della Nuova Ucraina – conclude Trenin – il giorno della nostra vittoria sarà il Giorno della loro Liberazione […] come d’altra parte accadeva per il Giorno della Vittoria nella Repubblica Democratica Tedesca». Appare adeguato, nella sua ruvida concisione, il commento apposto da una lettrice russa sul canale Telegram in cui questo articolo è stato originariamente divulgato: «prima ti stupro e poi ti sposo». Non è da escludere che proprio questa si riveli, in fine, la vera formula di pace.


Il futuro dell’Ucraina dopo la fine dell’operazione speciale [17]
Dmitrij Trenin

C’è una regola: in tempo di pace bisogna prepararsi alla guerra, ma in tempo di guerra bisogna pensare all’organizzazione della pace. Ora, mentre il conflitto in Ucraina non è ancora terminato, i nostri pensieri sono rivolti alla vittoria. Siamo convinti che arriverà. Tuttavia, è già tempo di iniziare a riflettere sul mondo che seguirà. Parafrasando una famosa espressione di Stalin, si può affermare: i banderisti vanno e vengono, ma il popolo ucraino rimane.

L’Ucraina nei confini del 31 dicembre 1991 non esiste più da tempo. Alcune regioni dell’ex Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina – Crimea, Donbass e Novorossija – sono entrate a far parte della Federazione Russa tramite referendum. È possibile che col tempo altre regioni seguano lo stesso percorso: forse Odessa con Nikolaev, forse Char’kov con Dnipropetrovsk. Forse anche altre. Ma di certo non tutte. Si dovrebbe annettere solo ciò che può essere realmente integrato e, se necessario, mantenuto.

Una parte degli attuali territori ucraini rimarrà fuori dai confini della Federazione Russa. Quale sarà il futuro di questa Ucraina? Dalla risposta a questa domanda – che rappresenta in realtà una sfida seria – dipenderà anche il futuro della Russia. L’esperienza recente in Siria ci ha dimostrato la validità della massima militare del grande Aleksandr Suvorov: «Il bosco non tagliato crescerà di nuovo».

Dal punto di vista culturale, storico, etnico e civile, l’Ucraina – o almeno gran parte di essa – è parte integrante del Mondo Russo. Tuttavia, oggi questa terra è nelle mani di forze che cercano disperatamente di distruggere il Mondo Russo. Non si può non notare che persino queste forze – insieme all’Occidente da cui sono sostenute –  combattono contro di noi utilizzando carne da cannone che è russa nella sua sostanza e che si getta nella battaglia con spirito russo: con tenacia, con ingegno e con sprezzo del pericolo, nonostante le enormi perdite subite.

La missione liberatrice della Russia – il suo compito storico – non si concluderà con la liberazione delle città e dei villaggi del Donbass e della Novorossija. Essa è rivolta alla liberazione dell’intera Ucraina dal regime banderista anti-russo, dalla sua ideologia sostanzialmente neonazista e dall’influenza di forze esterne ostili al Mondo Russo.

Come ogni altro paese, l’Ucraina appartiene prima di tutto al popolo che vive sul suo territorio. La Russia, tuttavia, è strettamente e indissolubilmente legata a questo popolo e alla terra su cui vive. Dopo la fine della guerra, abbiamo il dovere – prima di tutto verso noi stessi – di aiutare i nostri vicini a costruire una nuova Ucraina: inizialmente pacificata, poi pacifica, in prospettiva a medio termine un partner, e a lungo termine un alleato.

La Russia ha una solida esperienza storica nella trasformazione di nemici in amici o cittadini affidabili. Basta ricordare la rinascita della Repubblica Cecena, divenuta un pilastro di stabilità nel Caucaso del Nord; l’alleanza con l’Alleanza del Nord in Afghanistan, composta da ex mujaheddin; o l’esempio della DDR e di altri Stati satelliti della Germania nazista dopo la Seconda guerra mondiale.

Nella comunità di esperti russi esistono diverse visioni sul futuro postbellico dell’Ucraina.

Lo scenario in assoluto più radicale consiste nell’assunzione da parte della Russia del controllo totale su tutto il territorio ucraino, fino a Leopoli, raggiungendo così i confini con la NATO. Dopo questa vittoria militare seguirebbe una nuova «riunificazione dell’Ucraina con la Russia», che equivarrebbe di fatto all’abolizione della statualità ucraina. Non discuteremo la realizzabilità di tale esito dell’operazione speciale dal punto di vista militare. Tuttavia, possiamo affermare con certezza che esistono dubbi fondati riguardo alla capacità di mantenere l’intera Ucraina sotto il controllo di Mosca e successivamente di integrarla completamente nella Federazione Russa, così come sulle implicazioni economiche che tale decisione avrebbe per la Russia.

L’opzione esattamente agli antipodi di questa, la meno accettabile e la più pericolosa per noi, coincide con un’Ucraina banderista, filo-occidentale e ridotta nei confini rispetto al 2022. Si tratterebbe di uno Stato ferocemente antirusso, strumento dell’Occidente per esercitare una pressione costante sulla Russia e provocarla fino a diventare, al momento opportuno, una base per una nuova guerra mirata alla «liberazione dei territori occupati». La motivazione esistenziale di questa Ucraina «non completamente sconfitta» sarebbe la vendetta. Una tale opzione deve essere completamente esclusa.

C’è poi lo scenario di un’Ucraina indebolita, una sorta di grande «terra di nessuno», abbandonata dall’Occidente perché non più necessaria e dunque dipendente dalla Russia. In questa reincarnazione del machnovismo, diversi gruppi di interesse e semplici bande criminali combatterebbero incessantemente tra loro. Si ipotizza che Mosca, manipolando gli elementi locali, possa trasformare un’Ucraina del genere in un cuscinetto sicuro per la Russia nella direzione sud-occidentale. Tuttavia, due sono i dubbi principali su questo scenario. Primo, che l’Occidente «si ritiri» da questa «terra di nessuno» ucraina e non utilizzi i suoi «eroi» per continuare la lotta contro la Russia, che non si fermerà dopo la fine delle ostilità in Ucraina. Secondo, che Mosca riesca a governare questo caos machnovista.

Lo scenario ottimale, e non del tutto fantasioso, consiste nel confinare gli elementi antirussi e revanscisti alle regioni occidentali dell’Ucraina. Lì potrebbero creare, sotto il protettorato dell’Occidente, una loro «Ucraina libera» o diventare una zona di influenza degli Stati vicini – Polonia, Ungheria e Romania. L’Occidente potrebbe consolarsi con l’idea che una parte del paese è sfuggita al controllo di Mosca e considerare che un’Ucraina occidentale composta da cinque o sette regioni possa diventare l’equivalente della Germania Ovest durante la Guerra Fredda. Lasciamoglielo credere. Non è un problema rinunciare a ciò che non solo è costoso, ma anche pericoloso per noi. Non si deve ripetere l’errore di Stalin, che annetté la Galizia e la Volinia con il risultato di contaminare l’Ucraina sovietica con il virus del nazionalismo.

L’importante è che la «Galizia», anche con tutta l’assistenza possibile da parte dell’Occidente, non rappresenti una minaccia per la Russia. E dunque sia ridotta ad una massa sub-critica. La restante parte dell’Ucraina, isolata dal focolaio dell’ultranazionalismo e priva delle regioni che sono già state annesse o potrebbero ancora essere annesse alla Federazione Russa, diventerebbe un nuovo Stato ucraino sovrano. E uno Stato che non si troverebbe sotto la nostra occupazione. Vale la pena proporre questa prospettiva agli ucraini, spiegando quanto sarebbe vantaggiosa per loro stessi.

La Nuova Ucraina sarebbe assai più ucraina di quanto non fosse stata in passato la Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina e di quanto non sia oggi l’Ucraina senza la Crimea e le quattro regioni che hanno votato per entrare nella Federazione Russa nel 2022. Qui la cultura ucraina avrebbe tutte le possibilità per un ulteriore sviluppo e prosperità. L’economia ucraina avrebbe accesso al mercato russo e ai paesi dell’Unione Economica Eurasiatica. Allo stesso tempo, la Nuova Ucraina sarebbe rigidamente separata dall’elemento banderista estraneo a essa, storicamente formatosi in separazione dalla Russia e su basi antirusse. Kiev si libererebbe di coloro che l’hanno invasa e profanata dopo il colpo di Stato del 2014.

La Nuova Ucraina, come Stato e società, si costruirebbe su una base ampiamente russofona – o, se si preferisce, slava orientale. Questa Ucraina sarebbe erede della Rus’ di Kiev e dei cosacchi zaporoghi; sarebbe orgogliosa del contributo venuto dal suo popolo al rafforzamento e alla prosperità dello Stato russo e dell’Impero russo, così come dell’Unione Sovietica, di cui le terre della Piccola Russia erano una parte importante. Infine, rappresenterebbe la realizzazione di quel sogno di autodeterminazione che ha animato numerose generazioni di ucraini.

Nella realtà del mondo moderno, la vera sovranità dell’Ucraina – come quella degli altri Stati vicini alla Federazione Russa, ex membri dell’URSS – è possibile solo in condizioni di stretta interazione con la Russia. La base spirituale della società rimarrebbe la Chiesa ortodossa ucraina.

Il progetto «Nuova Ucraina» non deve necessariamente aspettare il giorno della vittoria. Si può iniziare a pianificare già ora. In Russia ci sono molti ucraini a cui non è indifferente il destino della patria. Molti di loro possiedono le competenze necessarie per partecipare alla costruzione statale, economica e culturale del futuro Stato ucraino. È importante sottolineare che questo lavoro mira proprio alla creazione di una nuova statualità e non alla restaurazione di quella Ucraina che quasi undici anni fa fu spazzata via dal Maidan.

Non si tratta solo di coloro che sono fuggiti. Dopo la nostra vittoria, sarà necessario separare dalla maggioranza della popolazione ucraina i criminali di guerra, i malviventi, gli avversari ideologici e i russofobi irriducibili. La Nuova Ucraina potrebbe attirare nuove schiere di patrioti – ufficiali, figure pubbliche e culturali, imprenditori pronti a ricostruire il loro paese in cooperazione con la Russia. Noi, a nostra volta, dovremo dare a queste persone un credito iniziale di fiducia e trattare con rispetto la loro «ucrainicità». Non si tratterebbe di «khoholy» o di «ukropy» [definizioni dispregiative di ucraini], e neanche di semplici vicini, ma di cittadini appartenenti ad una parte del Mondo Russo che dobbiamo recuperare. Non per loro, ma prima di tutto per noi stessi, per il nostro futuro (che sarebbe sicuro solo in questa prospettiva).

Nel nostro lavoro con gli ucraini, bisogna già sottolineare che oggi per l’Occidente l’Ucraina e il suo popolo sono solo uno strumento, un materiale di consumo nel tentativo di indebolire la Russia. Che per l’Occidente gli ucraini (vscoperti” solo tre anni fa) sono estranei, persone di seconda o terza classe. Che i meravigliosi valori popolari ucraini sono destinati a essere sepolti sotto una valanga di cultura di massa occidentale e delle ultime novità in ambito di politiche di genere. Che la lingua ucraina subisce una crescente pressione da parte dell’inglese. Che le ricchezze ucraine – terre nere, risorse minerarie – sono state acquistate da aziende americane e occidentali e, di fatto, non appartengono più all’Ucraina. Che qualsiasi ipotetico tentativo dell’Ucraina di proteggere la propria identità incontrerà da parte dell’Occidente la stessa arrogante ingerenza che oggi investe le autorità della Georgia.

In conclusione: è necessario essere sempre pronti alla guerra, ma occorre prepararsi alla pace. Siamo convinti di raggiungere gli obiettivi dell’operazione speciale e speriamo almeno nello scenario ottimale descritto sopra per la fine della guerra. In altre parole, contiamo sulla nostra vittoria. Ma sarà una vittoria soprattutto contro il tentativo dell’Occidente collettivo di frenare il nostro sviluppo e indebolirci. Sarà una vittoria contro i banderisti ucraini – nemici sia dei russi che degli ucraini. Per i cittadini comuni della Nuova Ucraina, il giorno della nostra vittoria sarà il Giorno della loro Liberazione. Come d’altra parte accadeva per il Giorno della Vittoria nella Repubblica Democratica Tedesca.


[1] Così Dominique Moïsi, Letter to a Russian Friend, Institute Montaigne, 19 luglio 2022, disponibile online.

[2] D. Trenin, S. Avakjanc, S. Karaganov, Ot sderživanija k ustrašeniju. Jadernoe oružie, geopolitika, koalicionnaja stretegija (Dalla deterrenza all’intimidazione. Armamento nucleare, geopolitica, strategia di coalizione), Moskva, Molodaja gvardija, 2024; un compendio in D. Trenin, Strategičeskoe sderživanie: novye kontury. Jadernoe ustrašenie i drugie sposoby sochranenija mira (Nuove configurazioni del contenimento strategico. L’intimidazione nucleare e altri metodi di mantenimento della pace), 4 luglio 2024, disponibile online.

[3] Sergej Karaganov, Primenenie jadernogo oružija možet ubereč’ čelovečestvo ot global’noj katastrofy (L’impiego dell’arma nucleare può proteggere l’umanità dalla catastrofe globale), «Profil’», 13 giugno 2023, disponibile online.

[4] Per un lucido e, purtroppo, persuasivamente pessimistico riepilogo delle rispettive posizioni si veda comunque V. Frolov, Popytka sdelki: kakimi mogut byt’ peregovory o zaveršenii konflikta na Ukraine (Un tentativo di accordo: quali potrebbero essere le trattative per la conclusione del conflitto in Ucraina), «Forbes Russia», 8 gennaio 2025,  disponibile online («Forbes Russia» è oggi periodico legale russo).

[5] Anch’egli proviene dai servizi di scurezza. Cfr. il suo intervento sulle prospettive di una possibile pace N. Patrušev, Ne isključeno, čto v nastupivšim godu Ukraina prekratit suščestvovavnie (Non è escluso che l’anno prossimo l’Ucraina cessi di esistere), «Komsomol’skaja pravda», 14 gennaio 2025, disponibile online.

[6] S. Karaganov, Nato – eto rak, poka metastazy tol’ko rasprostranjajutsja (La Nato è un cancro e le sue metastasi iniziano a diffondersi), «Rossija v global’noj politike» (La Russia nella politica globale), 19 gennaio 2022, disponibile online.

[7] F. Luk’janov, Staroe myšlenie dlja našej strany i vsego mira (Un vec­chio modo di pensare per il nostro paese e il mondo intero), «Rossija v global’noj politike», 2022 n. 2, disponibile online.

[8] E. Černenko, D. Trenin, Oba scenarija predpolagajut opredelënnuju cenu i soprjaženy s riskami (Entrambi gli scenari presuppongono un costo e comportano dei rischi), «Kommersant’», 25 gennaio 2022, disponibile online. Per la traduzione inglese, cfr. Elena Chernenko, Are We On the Brink of War? An Interview With Dmitri Trenin, Carnegie Endowment, Moscow Center, 29 gennaio 2022, disponibile online.

[9] Appare plausibile l’interpretazione di T. Stanovaya, Bellicose Putin Guarded About Prospect of Peace in Ukraine, «Carnegie Politika», 23 dicembre 2024, disponibile online.

[10] Cfr. il portale Centr izučenija social’no–gumanitarnych voprosov razvitija čelovečeskogo kapitala (DNK Rossii) (Centro di studi sulle questioni dello sviluppo sociale e umanitario del capitale umano. DNA della Russia), disponibile online.

[11] Golosuj tankom! (Vota con il carrarmato), «The Insider», 31 agosto 2022, disponibile online; per un’analisi delle procedure di manipolazione delle elezioni nella Federazione russa, cfr. A. Masoero, Gestione del potere e selezione della classe dirigente nel putinismo, in Le trasformazioni della Russia putiniana. Stato società e opposizione, a cura di R.M. Cucciolla e N. Pianciola, Roma, Viella, 2024, pp. 78–94.

[12] I. Kolychaev, Ne zabyvaete o Chersone. Nam sejchas očen’ složno (Non dimenticatevi di Cherson. Qui ora è molto difficile), «Ukrainskaja pravda», 5 aprile 2022, disponibile online.

[13] D. Trenin, Strategičeskoe sderživaniecit.

[14] E’ interessante la comparazione con la retorica politica che accompagnò le spartizioni della Polonia nel Settecento, magistralmente ricostruita da Aleksandr Kamenskij, ‘Ottoržennaja vosvratich’: razdely Pol’ši i koncepcija sobiranija russkich zemel’ (‘Ha restituito ciò che era stato strappato’. Le spartizioni della Polonia e la concezione della raccolta delle terre russe), in Trudy po rossievedeniju, 2016, vol. 6, pp. 220–261.

[15] Per una discussione di questo aspetto sul lungo periodo, cfr. A. Masoero, Impero russo delle differenze o stato unitario?, «Contemporanea», 2023, n. 2, pp. 479-491.

[16] N. Patrušev, O popytkach  Zapada navjazat’ Finlandii ‘Karel’skij vopros’ (Sui tentativi dell’Occidente di imporre alla Finlandia la ‘questione della Carelia’), Interfaks, 31 luglio 2023, disponibile online; A. Walicki, Una utopia conservatrice. Storia degli slavofili, Torino, Einaudi, 1973; Z. Bauman, Retrotopia, Bari, Laterza, 2017.

[17] D. Trenin, Kakoj dolžna stat’ Ukraina posle zaveršenija rossijskoj specoperacii, «Profil’», 18 dicembre 2024, disponibile online.