Due anni di emigrazione russa, a che punto siamo

Manifestazione contro Putin a Berlino - Photo: EPA-EFE / FILIP SINGER

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Con la censura militare in vigore in Russia dai primi giorni della guerra contro l’Ucraina, le leggi sempre più repressive verso ogni forma di dissenso e di espressione non organica alla propaganda ufficiale, l’annientamento dei media indipendenti e delle Ong, gli omicidi e i processi politici, quel che rimane dell’opposizione russa al regime di Vladimir Putin è ormai concentrato all’estero. Nella difficoltà attuale di mappare la reale entità e il sentimento politico della diaspora russa, con questo contributo il Cesarc avvia un osservatorio sulle comunità russe tra Asia centrale ed Europa, per raccogliere informazioni su iniziative politiche, culturali e di aggregazione promosse nei vari Paesi, ma anche per proporre analisi e testimonianze in quello che col tempo potrebbe diventare un vero e proprio archivio per chi vorrà approfondire il tema
Francesca Gori e Marta Allevato

L’invasione russa su vasta scala dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, ha generato l’esodo più significativo dal Paese negli ultimi 30 anni (https://en.thebell.io/russias-650-000-wartime-emigres/ ), che ha coinciso anche con la più consistente fuga di cervelli dai tempi del crollo dell’Unione Sovietica. Il fenomeno non ha trovato ancora una propria definizione e viene collocato spesso nella cosiddetta “quarta ondata” migratoria, quella iniziata nel 1991 con la fine dell’Urss.

Tracciare l’entità precisa e soprattutto interpretare il significato politico del flusso di migranti che ha lasciato la Russia dall’inizio dell’ “operazione militare speciale” è un compito su cui continuano a cimentarsi diversi ricercatori, alle prese con una serie di fattori che non facilitano l’impresa. Per esempio, la difficoltà di ottenere ed elaborare dati precisi che riflettano la situazione reale sul terreno e il dinamismo del contesto politico e legislativo dei vari Paesi di approdo, che spesso spinge i singoli individui o nuclei famigliari a spostarsi a seconda delle difficoltà o possibilità di adattamento.

Capire chi sono i russi che se ne sono andati e come si stanno integrando nei loro nuovi Paesi è possibile grazie a una serie di sondaggi condotti dal progetto OutRush ( https://outrush.io/) dell’European University Institute. I loro dati ( https://osf.io/preprints/socarxiv/ckf4v ) mostrano che coloro che hanno lasciato la Russia possono essere caratterizzati come altamente politicizzati, istruiti e in una situazione finanziaria migliore rispetto alla media dei russi. Sono in genere giovani (20-40 anni) e l’80% ha un’istruzione universitaria. È più probabile che gestiscano le proprie attività o lavorino in ruoli da impiegati nel settore IT, analisi dei dati, scienze o settore creativo.

La Russia stessa non ha rivelato quante persone hanno lasciato il Paese dopo il 24 febbraio 2022. I dati delle varie agenzie che pubblicano statistiche sull’immigrazione non riflettono la situazione reale. Ad esempio, le cifre del servizio di frontiera dell’Fsb (https://www.rbc.ru/business/08/05/2024/663a738e9a79477edb57945c?ref=en.thebell.io) mostrano solo il numero di attraversamenti del confine russo, dove un individuo può effettuare più viaggi. Nel frattempo, le statistiche del ministero dell’Interno sul numero di cittadini russi che hanno ottenuto la residenza in un altro Paese ( https://tass.ru/obschestvo/19377167?ref=en.thebell.io) fotografano solo coloro che hanno acquisito lo status formale e poi hanno informato le autorità russe, cosa che non tutti fanno. 

In questo contesto, ci si affida a stime ormai piuttosto condivise ( https://www.zois-berlin.de/en/publications/zois-report/the-political-diversity-of-the-new-migration-from-russia-since-february-2022 ) secondo cui, sono 800.000-900.000 i russi che hanno lasciato il Paese in due distinte ondate: nella primavera-estate del 2022 e dopo l’annuncio del Cremlino della mobilitazione parziale, nel settembre dello stesso anno. A fronte delle difficoltà sia economiche (la cancellazione dei voli diretti con la Russia ha reso il viaggio più lungo e costoso) che burocratiche (l’Ue ha sospeso l’accordo di facilitazione del rilascio dei visti con la Russia) di raggiungere l’Unione Europea, i principali Paesi di destinazione sono stati Armenia, Georgia, Turchia, Kazakistan, Kirghizistan e Israele. In Europa le mete sono state Bosnia Erzegovina e Serbia, per i quali non serve il visto, e la Germania.

Nel tempo, le difficoltà di ricostruire una vita altrove hanno portato gli emigrati a rimpatriare, spingendo a ipotizzare che la Russia stia gradualmente invertendo la fuga di cervelli dopo la crisi del 2022 che ha creato non poche difficoltà sul mercato del lavoro in termini di reperimento di manodopera e soprattutto di carenza di esperti nel settore IT . La testata online indipendente The Bell ( https://en.thebell.io/russias-650-000-wartime-emigres/ ) ha calcolato che sono almeno 650.000 i russi che hanno lasciato il Paese dopo il 2022 e che non vi hanno ancora fatto ritorno.

Sui numeri e il significato politico dei rimpatri volontari è meglio usare cautela, come fa notare un approfondito rapporto del Carnegie ( https://carnegieendowment.org/russia-eurasia/politika/2024/07/russian-emigration-in-flux?lang=en  ). Il ritorno spesso è solo un’opzione temporanea per riorganizzarsi e raccogliere le risorse per un nuovo tentativo di emigrazione. Secondo i dati del progetto di OutRush, del 16% degli intervistati che sono tornati in Russia tra marzo 2022 e settembre 2022, circa l’80% è emigrato di nuovo entro l’estate 2023. Per alcuni, organizzare un nuovo tentativo di partenza richiede anche anni. Un altro fattore non rappresentato dai numeri è che mentre molti migranti russi possono risiedere fisicamente in un luogo, i loro pensieri, le loro emozioni e aspirazioni possono essere collegati ad altri luoghi, o persino a più luoghi contemporaneamente. “Questo complesso senso di appartenenza dei migranti può plasmare in modo significativo il futuro di questa ondata migratoria”, secondo quanto sottolineato dai ricercatori Emil Kamalov e Ivetta Sergeeva ) https://osf.io/preprints/socarxiv/ckf4v ).

Un altro aspetto che raramente viene menzionato per quanto riguarda è l’esistenza di vari status transitori che vanno oltre la semplice divisione tra “rimasti in emigrazione” e “ritornati in Russia”. Tra questi status intermedi ci sono quelli di pendolarismo e lavoro da remoto. Almeno il 14% degli emigranti russi si reca regolarmente in Russia e il 32% pianifica di recarsi in Russia per lavoro mentre vive all’estero. Circa il 15% degli emigranti russi all’estero è ancora impiegato presso realtà russe. Questi migranti in bilico mantengono forti legami economici, sociali e culturali sia con la comunità ospitante che con il loro Paese d’origine e non è chiaro in quale paese alla fine sceglieranno di stabilirsi.

Le comunità di migranti – o come una parte di essi preferisce essere definita relokanty, termine preso dall’inglese poiché il termine russo migranty spesso connota la migrazione poco qualificata –  rappresentano un grattacapo politico ed economico per il Cremlino ma anche per i Paesi ospitanti. Le immagini del settembre 2022 di chilometri di auto in coda per attraversare la Georgia e sfuggire alla mobilitazione hanno minato la narrazione di una Russia compatta dietro l’invasione dell’Ucraina. In secondo luogo, una volta all’estero, i più impegnati sul piano politico hanno organizzano iniziative per contrastare la propaganda e promuovere messaggi contro la guerra sia ai russi in patria che a livello internazionale, nel tentativo di contrastare la narrazione secondo cui tutti i russi sostengono il conflitto.

Le autorità russe hanno cercato di minimizzare l’impatto dell’abbandono del Paese da parte di centinaia di migliaia di persone istruite e benestanti, portando con sé i propri soldi, ma l’impatto economico è evidente. La più grande banca privata russa, Alfa Bank, stima che l’1,5% dell’intera forza lavoro russa potrebbe aver lasciato il Paese. La maggior parte di coloro che se ne sono andati sono professionisti altamente qualificati, tra i più attivi e intraprendenti e che stanno costruendo aziende o carriere all’estero, cosa che a lungo termine potrebbe avere n impatto sulla capacità del Paese di generare innovazione e aumentare competitività e produttività. Le aziende lamentano carenze di personale e difficoltà di assunzione. La Banca centrale russa ha riferito nelle prime fasi della guerra che i russi hanno prelevato un record di 1,2 trilioni di rubli (circa 15 miliardi di dollari) dai loro conti. Si tratta di una portata mai vista in Russia dalla crisi finanziaria del 2008  ( https://www.bbc.com/news/world-europe-65790759 ).

Gli immigrati russi rappresentato un rebus anche per le autorità dei Paesi ospitanti: l’arrivo di migranti qualificati ma da un regime autoritario è più un guadagno in termini di forza lavoro o un rischio per la sicurezza? Va visto come una risorsa politica, da sostenere nel tentativo di costruire dall’esterno una possibile opposizione al regime? O si tratta di una minaccia che va quindi contenuta? Alcuni temono che la Russia potrebbe usare i suoi cittadini all’estero per lo spionaggio; altri che un afflusso di cittadini russi fornisca a Mosca un pretesto per “proteggere” i propri interessi militarmente.

Come rileva in un’analisi ( https://www.ispionline.it/en/publication/staying-and-leaving-russians-life-choices-in-time-of-war-166730 ) per Ispi Sergey Utkin, professore associato della facoltà di Scienze politiche all’Università della Danimarca meridionale, i sentimenti anti-guerra sono diffusi tra i russi che se ne sono andati, ma non è corretto equiparare la decisione di emigrare a un atteggiamento politico. Molti hanno solo vaghe idee sulla politica e preferiscono non immischiarsi, anche dopo che le conseguenze degli sviluppi politici li hanno duramente colpiti. Inoltre, le persone con una chiara visione critica del governo russo, quando sono all’estero, devono affrontare molteplici questioni pratiche, dalla burocrazia dell’immigrazione, all’alloggio e al lavoro, che consumano la maggior parte del loro tempo e delle loro energie. La minoranza di veri attivisti politici sta lottando con la sfida di ideare forme di protesta al di fuori dei confini della Russia che possano trascendere la mera mobilitazione della loro cerchia immediata di sostenitori e avere un impatto più ampio.