Andrej Percev

AP Photo/Sergei Grits
Dopo la fine dell’Urss i cosiddetti «tecnologi politici» – spin doctors o consulenti elettorali, inventori di immaginari e messaggi politici – divennero dei professionisti particolarmente richiesti e ben remunerati, ingaggiati da partiti o personaggi di potere a livello federale e regionale. Andrej Percev racconta su Meduza come queste figure importanti del sistema politico russo abbiano perso progressivamente importanza, committenza e quindi mercato a partire dal 2003. Nel farlo, però, l’autore descrive in modo efficace il processo che ha portato allo svuotamento e poi alla scomparsa della competizione tra alternative politiche, con dovizia di dettagli e sulla base di testimonianze. La progettazione dell’esito elettorale è diventata una funzione dell’Amministrazione presidenziale e quindi i tecnologi politici sono ormai superflui.
Andrej Percev
Il cavallo è morto. Come i “tecnologi politici” hanno contribuito a costruire il regime putiniano e poi hanno perso il lavoro
Gleb Pavlovskij si vantava che, alla fine degli anni Novanta, il suo “Fondo per la Politica Efficace” fosse in grado di portare al potere chiunque. «Per me era indifferente, capite? Ho una macchina che può far eleggere chiunque», raccontava a Meduza. «Nominate pure un morto — aggiungeva — costruiremo una narrazione, lo integreremo al suo interno, e verrà eletto anche lui». Il politologo e consulente politico Gleb Pavlovskij (deceduto nel 2023) fu uno dei creatori del profilo pubblico di Vladimir Putin come agente segreto sovietico: un’immagine che contribuì in maniera determinante alla vittoria di Putin nelle sue prime elezioni presidenziali. Un anno prima, il “Fondo per la Politica Efficace” (FEP) aveva partecipato all’elaborazione della campagna di “Russia Unita”, il primo autentico “partito del potere” russo, e si era occupato della candidatura di Sergej Kirienko a sindaco di Mosca. Nel 1996, il fondo aveva inoltre diretto la campagna presidenziale di Boris El’cin, durante la quale fu ampiamente impiegata la leva dell’apparato amministrativo.
All’epoca, i tecnologi della politica erano considerati in Russia figure onnipotenti, capaci di rimodellare l’assetto del potere sia a livello regionale sia nazionale, di manipolare l’elettorato e influenzare le élite — e, infine, di guadagnare somme considerevoli. A un quarto di secolo di distanza, Sergej Kirienko — oggi vicedirettore dell’Amministrazione presidenziale della Federazione Russa e, con ogni probabilità, una figura altrettanto centrale nella politica interna quanto lo fu un tempo lo stesso Pavlovskij — riconverte i politologi in “architetti sociali” e dichiara apertamente che questa professione, in Russia, è di fatto morta.
Alla fine degli anni Novanta, la politica interna in Russia si distingueva per un sorprendente grado di varietà nelle campagne elettorali, ricorda — in un colloquio con Meduza, a condizione di anonimato — un consulente politico che all’epoca era solo agli inizi della carriera:
«Concludevo una campagna, mi prendevo un po’ di riposo e dopo due o tre settimane chiamavo i colleghi: “Dove, cosa c’è, quali elezioni interessanti ci sono?” Oppure cominciavano loro a chiamare me. E se non mi chiamavano, bastavano comunque pochi giorni per trovare una nuova campagna. E si ripartiva».
L’interlocutore di Meduza decise di diventare politologo osservando i successi di quegli specialisti che partecipavano alle grandi campagne elettorali — tra cui lo stesso Gleb Pavlovskij, Igor’ Mintusov, Aleksej Sitnikov. La carriera non lo deluse: i guadagni erano elevati (i committenti «pagavano in contanti e in dollari»), il lavoro interessante.
«Coloro che avevano già acquisito una certa notorietà cercavano di apprendere dai professionisti europei e soprattutto americani. Lavoravano lì, negli staff elettorali, in posizioni di basso profilo. Osservavano da vicino le tecniche di propaganda, di mobilitazione dell’elettorato fedele a un politico o a un partito, le assorbivano. E poi le applicavano in Russia. Così facevano “Nikkolo-M”, IMA, “Imidž-kontakt”. È così che si sviluppava la professione», racconta il consulente.
In Russia, all’epoca, tramite elezioni dirette si eleggeva praticamente ogni carica: il presidente, i deputati della Duma di Stato, i governatori, i parlamentari regionali, i sindaci di città, distretti e villaggi, nonché i consiglieri municipali. La maggior parte delle competizioni elettorali era effettivamente competitiva. Prima dell’introduzione dell’election day, nel 2005, elezioni diverse si tenevano in giorni diversi. Ai candidati non era richiesto raccogliere firme per registrarsi: era sufficiente versare una cauzione, che veniva restituita in caso di vittoria. Per migliorare i propri risultati a livello regionale e federale, partiti e movimenti civici potevano unirsi in blocchi elettorali. Le élite locali spesso costituivano alleanze ad hoc per specifiche consultazioni elettorali.
Ogni campagna elettorale garantiva lavoro ai consulenti politici, che si occupavano dell’organizzazione degli staff, dell’elaborazione dell’ideologia e del branding. «Esistevano gruppi sia a livello federale che regionale disposti a pagare generosamente per la promozione dei propri candidati», ricorda un politologo che aveva iniziato la carriera in una delle regioni della Russia centrale all’inizio degli anni Novanta. «Gli uomini d’affari investivano nei politici, oppure tentavano essi stessi la corsa alle cariche di governatore o sindaco. All’epoca, non bastava affatto avere l’approvazione del Cremlino per vincere. Tutto si decideva nella competizione, ed è per questo che gli specialisti venivano ben retribuiti. Non si badava a spese». Secondo il suo racconto, all’inizio degli anni Duemila il flusso di denaro in questo settore era aumentato ulteriormente. Perciò, nei primi anni della costruzione della “verticale putiniana” del potere, i consulenti politici potevano ancora lavorare in condizioni piuttosto favorevoli.
Tuttavia, quest’epoca d’oro non durò a lungo. Nel 2003, in Russia fu arrestato Michail Chodorkovskij, proprietario della maggiore compagnia petrolifera del paese, la Jukos. Chodorkovskij aveva tentato di influenzare attivamente la politica interna — promuovendo propri candidati alla Duma di Stato, nelle amministrazioni e nei consigli regionali e municipali. Tre operatori del settore politico-consulenziale intervistati da Meduza affermano che già allora fu chiaro che le possibilità di mettersi in gioco e di guadagnare stavano diminuendo.
«Il potere mostrò chiaramente che, a livello federale, non ci sarebbe stata più alcuna concorrenza significativa. E coloro che avessero voluto opporsi sarebbero stati schiacciati come asfalto fresco sotto un rullo compressore», spiega uno di loro.
All’inizio degli anni Duemila, il Fondo per la Politica Efficace si era trasformato in un centro analitico al servizio del Cremlino. Pavlovskij partecipava alle riunioni con Putin e si recava almeno una volta a settimana presso l’Amministrazione presidenziale per incontrare i funzionari del blocco politico. Già in quel periodo, il capo del blocco politico del Cremlino, Vladislav Surkov (egli stesso un ex consulente politico), cominciò insieme ai propri collaboratori a riflettere su come rendere le elezioni gestibili e prevedibili — e garantire così la vittoria ai candidati espressi dal potere.
Nel 2000, meno di due mesi dopo la vittoria alle elezioni, Putin istituì nuove strutture di potere: le rappresentanze plenipotenziarie del presidente. I rappresentanti plenipotenziari (i cosiddetti polpredy) furono inviati nei distretti federali — macroregioni create anch’esse su iniziativa di Mosca. I funzionari nominati da Putin avevano il compito di coordinare il lavoro degli uffici territoriali delle agenzie federali, controllare la situazione nelle regioni e riferirne al Cremlino. Tali incarichi furono assegnati prevalentemente a personalità provenienti dagli apparati di sicurezza; rappresentante plenipotenziario nel Distretto del Volga fu nominato Sergej Kirienko, già leader dell’Unione delle Forze di Destra (SPS) e primo ministro della Federazione Russa alla vigilia e durante il default del 1998.
«I polpredy si limitavano perlopiù a trasmettere ai governatori la volontà del centro e a interagire con le forze dell’ordine», ricorda un consulente che lavorava nel Distretto del Volga. «La politica, in sé, non interessava agli ex generali. Kirienko, invece, si rivelò un attore attivo: cominciò a formare e inserire suoi consulenti politici, e in seguito — a far eleggere propri sindaci, e perfino governatori».
Prima dell’introduzione delle rappresentanze plenipotenziarie, era il Cremlino stesso a selezionare i consulenti politici di primo piano per le campagne più importanti (o, quantomeno, a raccomandarli ai gruppi d’élite federali e regionali a lui leali). All’inizio degli anni Duemila, queste funzioni furono trasferite ai polpredy, racconta un interlocutore di Meduza: «Potevano promuovere i propri… Magari non i migliori in assoluto, ma quelli disposti a “condividere” [il compenso]».
Contemporaneamente, nel tentativo di rendere le elezioni più prevedibili, il Cremlino cominciò a restringere lo spazio della competizione politica. Nel 2004, fu abolito il sistema maggioritario uninominale per l’elezione della Duma di Stato. Nello stesso anno, la Duma approvò una legge che innalzava da 10.000 a 50.000 il numero minimo di iscritti necessari per la registrazione di un partito politico. Nel 2005, le autorità vietarono ai blocchi elettorali di partecipare alle elezioni di qualsiasi livello, restringendo ulteriormente la competizione. Il processo di creazione di nuovi partiti fu di fatto paralizzato. Le organizzazioni già registrate furono costrette a negoziare direttamente con il Cremlino.
Il colpo più duro per il settore della consulenza politica fu però l’abolizione delle elezioni dei governatori. Putin le cancellò nel settembre del 2004, dopo il massacro di Beslan, giustificando la decisione con la necessità di rispondere alla “minaccia terroristica”. Secondo quanto dichiarato da tutti i consulenti politici intervistati da Meduza, le elezioni per la guida delle regioni erano le più complesse, le campagne più creative e meglio retribuite.
In occasione di simili campagne, i tecnologi politici si trovavano ad affrontare compiti tutt’altro che banali. Per esempio, durante la campagna elettorale del generale Aleksandr Lebed’, che nel 1998 si candidò alla carica di governatore di Krasnojarsk, gli sponsor della sua candidatura non volevano che vincesse al primo turno. Temevano infatti che, in tal caso, il politico sarebbe stato meno incline a scendere a compromessi e più difficile da controllare. Di conseguenza, lo staff del generale organizzò un’azione contro il proprio stesso candidato.
«Abbiamo ingaggiato dei senzatetto, abbiamo messo loro in mano coperchi di pentole e mestoli, e appeso al collo dei cartelli con il volto di Lebed’ e slogan del tipo “Lebed’ è la nostra scelta esistenziale”», raccontò a Meduza il consulente politico Vjačeslav Smirnov (attualmente impiegato nell’Amministrazione presidenziale), che lavorò a quella campagna. Parallelamente, i consulenti politici di Lebed’ lanciarono una campagna di discredito: fecero circolare tra i cittadini di Krasnojarsk la voce che il generale intendesse introdurre una nuova tassa sulle attività agricole familiari. Aleksandr Lebed’ vinse le elezioni a Krasnojarsk ma solo al secondo turno, come desideravano i suoi sponsor.
Dopo l’abolizione delle elezioni dei governatori, alcuni dei principali attori del mercato della consulenza politica decisero di cambiare ambito di attività.
«Esiste una regola semplice: se il cavallo è morto, scendi da cavallo», riflette un consulente politico di lunga esperienza. «Quel cavallo è morto quando hanno cancellato le elezioni dei governatori. I grandi operatori hanno cominciato a diversificarsi. Sergej Michajlov è passato al settore delle pubbliche relazioni aziendali; alcuni hanno iniziato a condurre un numero crescente di campagne nei paesi della CSI, in particolare in Ucraina — è il caso, ad esempio, di Aleksej Sitnikov. Igor’ Mintusov di “Nikkolo-M” ha cominciato a partecipare a elezioni in paesi più lontani».
Lo stesso interlocutore di Meduza decise di collaborare con un gruppo di imprese industriali che possedeva stabilimenti in più regioni del paese. Per difendere efficacemente i propri interessi, il gruppo cercò di far eleggere nei consigli municipali e alle cariche di sindaco candidati fedeli.
Il colpo inferto dal Cremlino al sistema elettorale durante il primo mandato presidenziale di Putin fu duro, ma non mortale — ne è convinto un consulente politico che aveva iniziato la propria carriera negli anni Novanta. Pur riconoscendo che la perdita di 80 elezioni governatoriali e di 225 seggi uninominali alla Duma di Stato rappresentò «una grave battuta d’arresto» per il mercato.
«Rimanevano comunque le elezioni per i parlamenti regionali e, soprattutto, le elezioni dei sindaci e dei consiglieri comunali nelle grandi città. Queste ultime potevano addirittura essere più redditizie di quelle per i governatori — assicura. — Nelle città si concentrano molte risorse: edilizia, commercio, trasporti. Tutti i gruppi locali vogliono controllarle e spartirsele. Per questo, anche allora, si poteva comunque guadagnare».
L’introduzione nel 2005 dell’election day (EDG, Edinyj den’ golosovanija) viene considerata dallo stesso interlocutore come un’ulteriore grave perdita. Inizialmente, la EDG si teneva due volte l’anno; dal 2012, invece, una sola volta l’anno, la prima domenica di settembre (fanno eccezione le elezioni presidenziali, che si svolgono in marzo). Le autorità hanno giustificato la riforma con la necessità di ridurre i costi organizzativi.
Lo spostamento delle elezioni a settembre costrinse i candidati a svolgere l’intera campagna elettorale nei mesi estivi, quando gran parte dell’elettorato è in vacanza. In tali condizioni, solo “Russia Unita” — grazie ai suoi ingenti mezzi — era in grado di condurre campagne parallele in decine di regioni.
«All’inizio degli anni Duemila riuscivo a lavorare a quattro campagne all’anno, poi sono diventate due, e infine una sola. E il compenso, ovviamente, è uno solo», spiega lo stesso consulente politico a Meduza. Tuttavia, riuscì a trovare una via d’uscita: decise di formare squadre di consulenti di livello inferiore — quelli che avevano maturato esperienza nelle elezioni dei consigli regionali o nei piccoli comuni. Tali team potevano lavorare simultaneamente su campagne diverse.
«Ma non tutti erano in grado di farlo. Ci sono ideologi brillanti, ottimi operatori sul campo, esperti di media competenti, ma nessuno di loro è un campaign manager. Ed è proprio questa figura professionale [a causa della penuria di specialisti] ad aver sofferto di più», osserva con rammarico il consulente.
Nel frattempo, i professionisti del FEP si erano concentrati su un unico committente: il Cremlino. Una delle innovazioni più significative introdotte dal “Fondo per la Politica Efficace” per l’Amministrazione presidenziale fu quella dei cosiddetti temniki — elenchi di oratori e argomenti consigliati o sgraditi (accompagnati da indicazioni sul modo in cui trattarli), che il Cremlino e le autorità regionali inviavano alle redazioni e ai canali televisivi sotto il loro controllo.
Oltre alla creazione di un sistema efficace di influenza sui media, quegli stessi consulenti del FEP risolsero un altro compito nell’interesse del potere: ridurre il consenso del Partito Comunista della Federazione Russa (KPRF) alle elezioni parlamentari, rafforzando così ulteriormente la posizione di “Russia Unita” e abbassando il livello generale di competizione.
«All’epoca, si ricorreva a metodi tecnologici. In vista delle elezioni del 2003 fu creata la lista Rodina (“Patria”), che sfruttava una retorica patriottica simile a quella comunista, ma con sfumature nazionaliste. Ottenne la sua percentuale di voti, mentre il risultato dei comunisti calò — e non tornò mai più ai livelli precedenti», ricorda un consulente politico che operava attivamente a livello regionale.
Alle elezioni per la Duma di Stato del 1999, il KPRF ottenne il 24,6% dei voti; nel 2003, solo il 12,6%. La nuova lista Rodina, invece, conquistò ben il 9,02%. In seguito, i comunisti non superarono mai più la soglia del 20%.
A partire dalla metà degli anni Duemila, in Russia si cominciò gradualmente ad abolire le elezioni dirette dei sindaci, che all’epoca erano ancora figure politiche effettive. Furono sostituiti da city manager tecnici, nominati attraverso concorsi puramente formali. I sindaci di opposizione già eletti vennero espulsi dal sistema di potere. Contro alcuni di loro furono avviati procedimenti penali: ad esempio, nel 2007 furono arrestati il sindaco di Vladivostok Vladimir Nikolaev e il sindaco di Arkangelsk Aleksandr Donskoj.
Le élite federali e regionali compresero rapidamente le nuove regole del gioco. Esse prestarono giuramento di fedeltà al Cremlino (imprenditori di spicco aderirono in massa a “Russia Unita”) e rinunciarono autonomamente all’organizzazione di campagne competitive.
«Anche se in una città sono state formalmente mantenute le elezioni del sindaco, [di norma, in quelle città] il sindaco è un esponente di Russia Unita. E se non è in conflitto con il governatore, capisce che l’intero apparato amministrativo lavorerà per lui», osserva un consulente politico ancora attivo nelle campagne regionali.
«Capisce anche che non si presenteranno veri concorrenti. Pensa che pagherà bene? No. E i candidati locali, che potrebbero ambire alla carica, pensano a loro volta: se vinco come oppositore, mi metteranno dentro. La concorrenza è diventata una rarità». E ciò ha comportato un ulteriore calo della domanda di consulenti politici.
Secondo quanto afferma un influente operatore del mercato della consulenza politica, il “Fondo per la Politica Efficace” — migrato dalla consulenza politica al lavoro ideologico — avrebbe esso stesso contribuito alla distruzione dell’industria: fu il FEP a raccomandare al Cremlino l’abolizione delle elezioni, la soppressione dei blocchi elettorali e l’introduzione dell’election day.
«Il problema era chiaro: nelle regioni, Russia Unita riusciva a fatica ad arrivare prima, a causa dei vari blocchi locali con nomi tipo “Il nostro territorio” e simili. Quindi, bisognava eliminarli. Candidati indipendenti indesiderati riuscivano a entrare in parlamento? Anche questo andava fermato. In termini moderni, è ciò che oggi si chiama damage control — contenimento del danno».
«Solo che, se hai distrutto la causa del problema, tu non servi più», aggiunge con amarezza l’interlocutore. «Non c’è più nulla da risolvere».
Alla fine degli anni Duemila, i consulenti politici continuarono a operare in vari comparti del sistema politico, ma per gli specialisti di alto livello non c’era più spazio. Il potere non aveva più bisogno di loro: le elezioni venivano vinte grazie alle risorse amministrative e a falsificazioni dirette (l’abuso di tali strumenti provocò le proteste di massa del 2011–2012). Neppure l’opposizione — ormai quasi completamente esclusa dalla vita politica reale — aveva bisogno di tali specialisti.
Nel 2011, a Gleb Pavlovskij, l’uomo che aveva contribuito a far diventare Putin presidente della Russia, fu revocato il pass per accedere al Cremlino.
Già prima della “rivoluzione della neve” del 2011–2012, al Cremlino avvenne un cambio ai vertici del blocco politico. Al posto del brillante e istrionico Vladislav Surkov fu nominato Vjačeslav Volodin, proveniente da “Russia Unita”: un uomo con esperienza politica pubblica, ma privo dell’aura da demiurgo che aveva caratterizzato il suo predecessore.
A quel punto, il mercato della consulenza politica era ormai molto diverso rispetto a quello degli anni Duemila: molti specialisti erano passati alle amministrazioni regionali, dove avevano assunto ruoli come vicegovernatori con delega alla politica, direttori di dipartimento o consulenti — svolgendo, di fatto, il ruolo di eminenze grigie al fianco dei governatori regionali, come raccontano a Meduza tre consulenti politici intervistati. Altri, invece, avevano trovato impiego negli apparati dei partiti a livello federale o regionale.
Anche se Vjačeslav Volodin dichiarava pubblicamente che in Russia le elezioni si svolgevano in maniera “competitiva, aperta e legittima”, i consulenti politici che lavoravano in quel periodo alle campagne elettorali smentiscono tali affermazioni.
«All’epoca il focus era sulla cosiddetta “collaborazione con le commissioni” — falsificazioni, per essere sinceri… I collaboratori di Volodin [nel 2016] volevano invitarmi a partecipare a una delle campagne di Russia Unita in una regione. Avevo preparato proposte su ideologia e propaganda, ma la prima domanda fu: “Come pensate di lavorare con le commissioni elettorali? Siete capaci?” Cioè, fin da subito era chiaro: la priorità non era la creatività, ma la falsificazione. Mi sono defilato», racconta un consulente politico che continua ancora oggi a lavorare nelle campagne regionali.
Altri due consulenti ricordano che durante la gestione Volodin ricevettero un nuovo incarico secondario: il monitoraggio della situazione nelle regioni, sotto la supervisione del nuovo centro analitico del Cremlino, l’Istituto per lo Sviluppo della Società Civile e delle Istituzioni Pubbliche (ISEPI). Con “situazione” si intendevano gli umori della popolazione e i rapporti di forza tra le élite locali.
«Il governatore o la sezione locale di Russia Unita potevano presentare una versione abbellita della realtà al Cremlino, e poi alle elezioni sorgerebbero problemi. [Per evitarlo], arrivava un revisore esterno che parlava con funzionari, membri di partito, attivisti, oppositori, esperti — se ce n’erano nella regione — e redigeva le proprie conclusioni», spiega uno degli intervistati.
Il processo di abolizione delle elezioni dirette dei sindaci accelerò sotto Volodin. Nel 2014, il Cremlino e la Duma trasferirono ai parlamenti regionali il potere di sopprimere tali elezioni (prima spettava ai consigli municipali). Nello stesso anno, 19 capoluoghi regionali persero l’elezione diretta del sindaco. Entro il 2019, le elezioni dirette dei sindaci sopravvivevano solo in sette capoluoghi di soggetto federale. Così, alla fine degli anni 2010, anche questa fonte di reddito per i consulenti politici era pressoché scomparsa.
Il ritorno delle elezioni dei governatori nel 2012 non fu in grado di compensare tale perdita: tutti i candidati dovevano superare il cosiddetto “filtro municipale”, ossia raccogliere dal 5 al 10% delle firme dei consiglieri municipali, a seconda della regione. L’elezione dei capi delle regioni era stata una delle richieste fondamentali dei manifestanti di piazza Bolotnaja. Il Cremlino sembrò accondiscendere — ma il filtro municipale serviva in realtà a escludere i candidati indipendenti e dell’opposizione: la maggior parte dei consiglieri municipali erano esponenti di Russia Unita o dipendenti pubblici facilmente influenzabili dal potere regionale.
«Finché le campagne erano una novità e si trattava di mettere a punto i meccanismi, i consulenti riuscivano in qualche modo a emergere. Ma non certo lavorando per il potere», osserva con tono disincantato un esperto del settore.
Nel 2016, quando Sergej Kirienko assunse la guida del blocco politico dell’Amministrazione presidenziale, in Russia non c’erano ormai più segni evidenti di competizione politica. Le ultime occasioni di attività politica reale a livello regionale e municipale erano state quasi del tutto eliminate.
Nel contempo, la squadra di Kirienko iniziò a introdurre nel blocco politico le pratiche di corporate governance apprese durante la sua direzione di Rosatom — la grande corporazione statale dell’energia nucleare che Kirienko aveva guidato dal 2005 al 2016.
Una di queste pratiche fu la mobilitazione aziendale durante le elezioni — un efficace complemento all’apparato amministrativo e alla manipolazione del voto. L’Amministrazione presidenziale obbligò le grandi imprese statali e private a stilare elenchi dei propri dipendenti, allo scopo di monitorare e controllare l’affluenza alle urne. In vista delle elezioni presidenziali del 2018, i consulenti politici incaricati dall’Amministrazione lavorarono attivamente a questo obiettivo.
«Quando viene introdotta una tecnologia — e la mobilitazione aziendale è una tecnologia — si crea lavoro. Bisogna formare il management delle risorse umane a livello federale, regionale. Poi compilare i database. Tutto questo si è fatto nel 2018. Dopo di che, il meccanismo ha funzionato da solo: il blocco politico e le autorità regionali assegnavano i compiti alle aziende, i database erano già pronti», racconta un consulente che, in quegli anni, coordinava la mobilitazione aziendale per una grande compagnia a rete.
Alcuni consulenti politici rimasti senza lavoro trovarono impiego nelle strutture di Evgenij Prigožin — prima nel suo progetto africano, poi nello staff del governatore ad interim di San Pietroburgo, Aleksandr Beglov, al quale Prigožin inizialmente offrì il proprio sostegno (come confermato a Meduza da tre operatori del settore). In Africa, i collaboratori di Prigožin conducevano ricerche sociologiche e aiutavano i governi che cooperavano con la Wagner ad avviare mezzi d’informazione sotto controllo.
«Per il cuoco [Prigožin] lavoravano persone molto diverse. Buoni specialisti che non erano riusciti a trovare un linguaggio comune con la squadra di Kirienko, giovani tecnici per i quali il lavoro si faceva sempre più scarso. Lavoravano soprattutto [persone] della regione Nord-Ovest. Prigožin non pagava molto — ad alcuni, nonostante i rischi, addirittura meno della media di mercato. Ma ad altri andava bene. Il lavoro c’era. Per i giovani, era una discreta palestra», osserva un consulente politico al quale, a sua volta, era stato proposto di lavorare nelle strutture di Prigožin.
Tuttavia, il progetto africano si rivelò un’iniziativa rischiosa. Un consulente che aveva firmato un contratto con il fondatore del gruppo Wagner ricorda, in un’intervista concessa a Meduza, la costante sensazione di pericolo vissuta in quel periodo: «Molti laggiù cominciarono a bere pesantemente. Nemmeno io sono riuscito a evitarlo. Me ne sono andato [dall’Africa] alla scadenza del contratto con grande sollievo».
Nel frattempo, il Cremlino continuava a semplificare la vita ai propri candidati e alle proprie iniziative. Nel 2020, l’Amministrazione presidenziale ha organizzato un referendum sulle modifiche costituzionali che hanno permesso a Putin di rimanere presidente per un tempo pressoché illimitato. Con il pretesto della lotta alla pandemia, la Commissione elettorale centrale, su indicazione dell’Amministrazione presidenziale, ha introdotto il voto distribuito su più giorni: ciò ha reso molto più agevole la mobilitazione aziendale. Ai dipendenti pubblici, ai lavoratori delle aziende statali e agli impiegati del settore privato leale al potere è stato caldamente consigliato di votare il primo giorno; nei giorni successivi, le autorità hanno esercitato pressioni su quanti non si erano ancora recati alle urne.
In seguito, la Duma ha sancito per legge la possibilità del voto su tre giorni. Gli esperti di procedura elettorale hanno fatto notare che, con tale schema, le urne restano incustodite nei seggi elettorali durante la notte, senza alcun controllo da parte degli osservatori, e che quindi i risultati non sono al riparo da manipolazioni. Terminata la pandemia, il voto su tre giorni è stato mantenuto — secondo quanto spiegato dalla Commissione elettorale centrale, per «agevolare gli elettori».
Un ulteriore colpo per la professione dei consulenti politici è stato l’introduzione del voto elettronico a distanza. Secondo i dati della Commissione elettorale centrale, tale modalità è ormai adottata in oltre 30 regioni della Russia. Attualmente, il Parlamento sta esaminando un disegno di legge volto a rendere il voto elettronico la principale forma di espressione della volontà popolare.
Questo è già avvenuto a Mosca, una delle prime regioni in cui è stato introdotto il voto elettronico a distanza. Dopo l’inizio della sua applicazione, la capitale russa — i cui abitanti tradizionalmente votavano in maniera significativa per l’opposizione — è passata sotto il pieno controllo di Russia Unita. Già nel 2019, alle elezioni per la Duma cittadina di Mosca (dove i seggi sono assegnati esclusivamente tramite collegi uninominali), i candidati dell’opposizione sostenuti dal progetto “Voto Intelligente” (Umnoe golosovanie) di Aleksej Naval’nyj avevano vinto in 20 dei 45 collegi. Ma già alle elezioni per la Duma di Stato del 2021, in tutti i collegi della capitale vinsero candidati sostenuti dal municipio — sia esponenti di Russia Unita, sia candidati formalmente appartenenti ad altri partiti, come il membro di “Russia Giusta” e noto partecipante a quiz televisivi Anatolij Vasserman.
Alle elezioni per la Duma di Mosca del 2024, le campagne dei candidati pro-governativi furono affidate, in cambio di compensi modesti, principalmente a consulenti poco noti provenienti dalle regioni. Tuttavia, grazie al voto elettronico, tutti i seggi furono conquistati da candidati legati al municipio o da candidati concordati con esso.
«I consulenti politici servono laddove esiste competizione. I partiti sistemici non hanno alcun interesse a competere seriamente, salvo forse in alcuni pochi casi regionali. Ma quelle regioni non bastano a far vivere l’intero settore», osserva un ex consulente politico che ha abbandonato la partecipazione alle campagne elettorali e si è dedicato all’imprenditoria. Anche l’Amministrazione presidenziale non ha bisogno di un vasto bacino di specialisti di riserva per le campagne problematiche, sebbene — precisa — alcune squadre restino “nel giro”. Tra queste, ad esempio, vi sono i gruppi di consulenti politici di Grigorij Kazankov e Sergej Tolmačëv.
«Qual è oggi il percorso per un buon professionista? — si interroga un consulente che collabora con un grande gruppo mediatico federale. — Vicegovernatore per la politica interna, staff di Russia Unita, apparato federale o una sua sezione regionale. Oppure nelle relazioni pubbliche aziendali e nel government relations — che è ciò di cui mi occupo io. Chi è nei ranghi riceve incarichi elettorali, viene raccomandato ai governatori ad interim. Ma, in linea di principio, oggi qualsiasi amministrazione può organizzare le elezioni in house, con i propri dipendenti. Il lavoro consiste unicamente nel garantire la mobilitazione. E con il voto elettronico tutto diventa ancora più semplice».
Nel 2025, per mantenere nell’orbita della propria influenza i consulenti politici disoccupati, il Cremlino ha ideato il concorso degli “architetti sociali”. Durante la sua presentazione, il direttore esecutivo del centro analitico del Cremlino EISI (Istituto per lo sviluppo della società civile) Firdus Aliev ha affermato che «agli albori della democrazia russa» esisteva una domanda di consulenti politici impegnati nelle campagne elettorali — ma oggi, secondo lui, «l’attività sociale della società non si esaurisce con le elezioni». A suo avviso, coloro che si candidano oggi a vari livelli di voto sono più concentrati su progetti sociali che su quelli propriamente politici.
Aliev ha proposto ai consulenti politici fedeli al Cremlino di “trasformarsi” e di “applicare l’esperienza accumulata a nuovi obiettivi”.
Il capo del blocco politico dell’Amministrazione presidenziale, Sergej Kirienko, ha definito, nel corso della stessa presentazione, il concorso «un nuovo passo nello sviluppo delle scienze sociali, civiche, umanitarie e politiche in Russia»:
«Oggi si avverte la necessità non tanto di tecnologie politiche quanto di tecnologie sociali. La richiesta non è più soltanto di competenza o di una spiegazione scientifica di ciò che accade, ma di un cambiamento concreto e positivo nella vita delle persone», ha dichiarato.
Come esempi, Kirienko ha citato i progetti “A voi la scelta” (Vam rešat’) nella regione di Nižnij Novgorod, “Bilancio scolastico” nella regione di Orenburg e il programma moscovita “Invecchiamento attivo”.
Un consulente regionale e un ex politologo che è diventato consulente in government relations per il grande business giudicano questo epilogo come una conclusione logica per la loro professione:
«Un tempo i consulenti politici o anche i funzionari dell’Amministrazione presidenziale potevano indicare con l’esempio: “Vuoi ottenere un buon risultato? Fai come me”. Ma dai tempi di Volodin, nell’Amministrazione lavorano dei zampolit [commissari politici], e il loro approccio è diverso: “Fai come ti dico”. Ora il centro ammette solo tre risposte possibili: “Sì”, “Va bene” e “Senz’altro”», conclude un consulente politico che lavora nella Russia centrale.
Non prova compassione per i suoi ex colleghi, che il Cremlino oggi definisce “architetti sociali” e incarica di organizzare anniversari cittadini o gite per pensionati.
«Durante tutti questi anni di assenza di elezioni competitive — e sono ormai molti — il mercato è andato in rovina. È un’accozzaglia. Se metti il nostro gran maestro [esperto consulente politico russo] accanto a un normale consulente americano che lavora costantemente in contesti elettorali competitivi, il nostro sarà peggiore», afferma con rammarico.
«Eppure l’Amministrazione presidenziale non può liquidare del tutto tutti i consulenti: lì dentro ci sono amici, brave persone — “dai, sosteniamoli in questo modo”».
Un funzionario regionale intervistato da Meduza ipotizza che il Cremlino cerchi di sostenere i consulenti leali attraverso il concorso degli “architetti sociali” perché potrebbero ancora rivelarsi utili, in quanto, almeno in teoria, sanno ancora come funziona il sistema elettorale:
«Sanno dove si trova il “pulsante” del ragazzo — e, in tempi di crisi, possono aiutare qualcuno a premerlo».
Tuttavia, lo stesso funzionario osserva che, a causa del progressivo declino delle campagne elettorali complesse in Russia negli ultimi quindici anni, i consulenti con cui il Cremlino continua a collaborare hanno disimparato a vincere elezioni nei territori problematici — quelli dove il malcontento popolare è alto. Secondo lui, nel caso in cui le élite locali presentino propri candidati, al centro risulta più semplice influenzare la situazione politica «inviando agenti delle forze dell’ordine e placando le élite».
Ad esempio, prima delle elezioni per la Duma municipale di Vladivostok del 2022, in cui i comunisti rischiavano di vincere, fu avviato un procedimento penale contro il deputato del parlamento regionale e capo della sezione locale del Partito Comunista, Artyom Samsonov, con l’accusa di abuso sessuale su minore. Samsonov definì il caso «completamente fabbricato» e sostenne di non aver mai incontrato la presunta vittima. Fu condannato a 13 anni di colonia penale a regime severo.
Nel 2018, in quattro regioni russe — il Territorio di Khabarovsk, il Territorio del Litorale (Primor’e), la Chakassia e l’Oblast’ di Vladimir — i candidati del potere furono sconfitti da concorrenti inizialmente considerati “tecnici”. La causa fu il diffuso malcontento per la riforma delle pensioni. Nel Territorio del Litorale, i risultati elettorali furono annullati. Il vincitore del Territorio di Khabarovsk, il governatore del LDPR Sergej Furgal, fu arrestato nel 2020. L’anno seguente, il suo collega di partito nell’Oblast’ di Vladimir, Vladimir Sipjagin, si dimise volontariamente. In Chakassia, il comunista Valentin Konovalov vinse nuovamente elezioni competitive nel 2023, mentre la campagna del suo sfidante, l’esponente di Russia Unita Sergej Sokol, era gestita dal blocco politico dell’Amministrazione presidenziale.
«Se il malcontento popolare è diffuso, non puoi mandare un agente a ogni cittadino», conclude l’interlocutore di Meduza. «Ecco perché nascono casi come quelli di Khabarovsk e della Chakassia. Mandano rinforzi, inviano le squadre migliori — e non riescono a ottenere nulla: queste persone hanno ormai perso le competenze».
(L’articolo di Andrej Percev è stato pubblicato da Meduza https://meduza.io/feature/2025/06/02/eta-loshad-sdohla)