Come sfamare l’orso? La (non) trasformazione della logistica militare russa nella guerra in Ucraina

Stefano Ruzza Università degli Studi di Torino

Carri armati Russi
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Tra studiosi e praticanti di materie militari circola un detto: “amateurs talk about strategy, professionals talk about logistics”. Anche se sovente attribuito al generale statunitense Omar Bradey, l’origine di questo modo di dire non è certa. Resta indisputato però il valore del suo senso. Nessuna forza armata è in grado di ottenere risultati significativi in assenza di una buona logistica, definita come l’insieme di attività che un apparato militare svolge per sostenere la sua componente combattente, ovvero – detto altrimenti – la capacità di fornire munizioni, cibo, riparo, carburante, cure mediche e manutenzione a soldati e mezzi, e di effettuare rotazioni di personale e sostituzioni di veicoli e materiali nella misura necessaria. La qualità della logistica influenza direttamente ritmo e durata dello sforzo militare. Una buona logistica è un presupposto alla base della rapidità delle operazioni poiché ogni elemento riceve in tempi adeguati tutto quel che gli occorre per condurre le sue attività mantenendo il miglior tempo operativo. Consente inoltre di garantire il sostegno alla durata delle operazioni, poiché ogni persona o cosa può essere rifornita o rimpiazzata a seconda delle necessità e del livello di attrito subito dal confronto con la forza ostile. Se la logistica è carente, le attività di combattimento sono necessariamente rallentate, possono subire pause, e addirittura soffrire rovesci o divenire insostenibili oltre un certo momento.

Nei primi giorni dell’aprile 2022 ho pubblicato un breve pezzo volto a valutare limiti e disfunzioni dell’apparato logistico militare russo e gli effetti che ne sarebbero discesi sulle operazioni in Ucraina. In quella sede, ho individuato quattro gravi carenze, ovvero:
1) il sottodimensionamento della logistica militare in generale rispetto alla forza combattente e alle sue necessità;
2) la dipendenza dalla rotaia, con conseguente difficoltà nella condotta di operazioni militari maggiori non in prossimità di linee ferroviarie controllate;
3) insufficienze e deficienze del trasporto su gomma, e dunque la limitata capacità di rimpiazzare l’approvvigionamento via ferrovia o svolgerlo lontano da queste;
4) i danni causati dalla corruzione dell’apparato militare, con conseguente degrado di materiali e capacità, e con cattiva valutazione (per sovrastima) a priori delle effettive disponibilità degli uni e delle altre. A fronte di questi dati, della loro irriformabilità nel breve periodo, e naturalmente del fallimento dell’azzardo iniziale che sperava in un rapido collasso ucraino, avevo concluso per una strutturale incapacità della Russia di condurre grandi operazioni di manovra lontano dai propri confini o dalla Crimea (la quale è rifornibile per tramite del ponte sullo stretto di Kerč), e dunque per una sua sostanziale impossibilità di procedere ad ampie e rapide conquiste territoriali. Su questa base, avevo ipotizzato che la guerra di Mosca sarebbe stata limitata in termini profondità, e che il Cremlino avrebbe potuto cercare di bilanciare questo svantaggio con un’estensione in termini di durata (il che, è bene chiarirlo fin da subito, non comporta necessariamente un vantaggio per Mosca, ma consiste piuttosto nel tentativo di trovare un momento politicamente favorevole nel tempo).

Le vicende della guerra in Ucraina da allora a oggi, cioè nell’arco dei due anni successivi all’avvio dell’invasione, hanno confermato la sostanziale validità di quella lettura. Tuttavia, non è detto che quanto si è rivelato valido finora lo sia anche in prospettiva. Questo perché gli apparati militari – al pari di qualunque altra organizzazione sociale – evolvono, e questo mutamento è potenzialmente più rapido in guerra, poiché la pressione esercitata da una forza ostile impone letteralmente di adattarsi o perire. Il fenomeno di evoluzione appena descritto si è visto, ad esempio, nelle trasformazioni relative alle modalità di ricorso alla forza da parte di entrambi i contendenti. Si pensi ad esempio all’uso che è stato fatto dei droni, al di là degli impieghi più tradizionali e intuitivi (come ad esempio ricognizione o attacchi “suicidi”). La Russia li ha usati, tra le altre cose, anche come strumento per garantire la coesione delle masse di fanti impiegate nei “meat wave attack”, massimizzando così la resa della propria superiorità numerica. Dal canto proprio, l’Ucraina, grazie ai droni, si è dotata della capacità di colpire in profondità il territorio russo, qualcosa che le era altrimenti impossibile fare a causa di limiti materiali o politici.

Il presente articolo si concentra sulla disamina dell’evoluzione della logistica militare russa, intendendo valutare se, come, perché, e in che misura sia mutata dall’inizio del conflitto a oggi, e che cosa questo consenta di ipotizzare circa i probabili scenari futuri sul piano militare. La riflessione è strutturata in tre passaggi. In primo luogo, sono presentati alcuni tratti caratterizzanti, ulteriori rispetto ai quattro riportati in apertura dell’articolo, che contribuiscono a meglio caratterizzarne la capacità di adattamento. Si procede poi a ripercorrere gli eventi salienti della guerra sul piano logistico-militare, per individuare quali trasformazioni hanno avuto luogo e con quale impatto, richiamando in parallelo anche le proposte di modifica che non si sono invece verificate, e tracciando le cause dell’avvenuto o mancato cambiamento. Infine, sono offerte alcune valutazioni e presentate ipotesi circa sviluppo del conflitto nel futuro prossimo sulla base degli elementi esposti nelle parti precedenti.

Procediamo dunque al primo dei passaggi delineati: cosa si può dire circa caratteristiche e funzionamento della logistica militare russa che siano indicativi circa la sua capacità di trasformazione? Due sono i fattori che vale la pena considerare: in primo luogo il modello stesso di logistica, e in seconda battuta la relazione che intercorre tra questo modello e le specificità del sistema di comando e controllo (C2) russo, vale a dire le modalità con le quali vengono impartiti ed eseguiti gli ordini. Per quel che pertiene il primo di questi due elementi, ovvero il modello di logistica, solitamente si individuano due idealtipi, denominati rispettivamente pull e push. Nel primo dei due (pull) le necessità sono definite dalle stesse unità combattenti, così come si verificano e come variano nel corso della condotta delle operazioni. La logistica militare deve dunque adattarsi dinamicamente alle contingenze. Nel secondo (push), le necessità sono invece valutate a priori, e ogni unità tende a ricevere su base regolare quanto si ritiene abbisogni sulla base di suddetta determinazione preliminare. Ovviamente una logistica di tipo push è più facile da mettere in opera ma è meno adatta a rispondere alle contingenze che inevitabilmente avvengono in guerra, cosa invece meglio svolta da un approccio di tipo pull. È anche opportuno sottolineare che si tratta di due idealtipi, e che nella realtà qualunque apparato logistico militare è di fatto una miscela dei due approcci, che però può essere più o meno tendente a uno dei due estremi. Per quanto riguarda la logistica militare russa in particolare, come è facile immaginare, il modello prevalente è di tipo push. Questo è in parte dovuto all’eredità del periodo sovietico, ma ci sono anche ragioni materiali che ne spiegano la persistenza, ovvero la già citata dipendenza dal trasporto ferroviario, con le conseguenti rigidità in termini di chi può ricevere cosa, quando e in che quantità.

Chiarito questo elemento, vediamo che correlazione il modello di logistica militare ha con il sistema di comando e controllo e come le due cose si influenzino a vicenda. Anche in questo caso, è possibile introdurre due idealtipi: a un estremo un C2 molto verticale e gerarchico, all’estremo opposto un sistema molto decentralizzato, dove ogni livello di comando si limita a stabilire gli obiettivi di massima, lasciando poi alle unità subordinate individuare le migliori modalità di esecuzione. Questo secondo modello consente un migliore adattamento a contingenze che esulano dalla possibilità di essere conosciute (o di esserlo in tempi idonei) dai comandi superiori. Come è intuitivo immaginare, l’adozione di una logistica di tipo pull richiede la presenza di un sistema C2 relativamente decentralizzato, in cui ogni comandante stabilisce le proprie modalità di azione e di conseguenza formula richieste sulla base di quanto gli occorre. Questa osservazione solleva un punto importante. Il sistema C2 russo è tendenzialmente rigido e gerarchico, e tradizionalmente le forze armate di Mosca difettano di sottoufficiali in numero adeguato, ragione per la quale sono sovente gli ufficiali inferiori a condurre attività normalmente affidate a sottoufficiali in ambito NATO. Il passaggio da una logistica militare di tipo push a una di tipo pull richiederebbe anche una riforma del modello di C2 e la formazione di un numero adeguato di sottoufficiali con capacità adeguate, ed è dunque impossibile in assenza di una tale riforma.

Quanto indicato al capoverso precedente evidenzia il perché un cambio di modello logistico per la Russia sia particolarmente difficile: richiederebbe una riforma sistemica delle forze armate oltre la sola logistica, la quale richiede lungo tempo per essere portata a regime dato che necessita di un cambio radicale in termini di  dottrina militare e di formazione del personale. A questo possiamo aggiungere anche la variabile politica, raramente considerata negli studi che si focalizzano in primo luogo sulla dimensione militare. Un sistema di C2 rigido e centralizzato come quello russo è meglio compatibile con le caratteristiche di un regime politico di tipo autoritario, perché consente una migliore sorveglianza sui quadri militari, ed è più compatibile con un approccio di tipo gerarchico-clientelare (laddove la clientela può essere intesa anche come tolleranza alla corruzione). La politica dunque crea un ostacolo alla riforma del C2, e questo a sua volta è di ostacolo a una riforma della logistica. Questa valutazione preliminare consente di mettere a fuoco un elemento importante, e cioè che è lecito ipotizzare che qualunque riforma della logistica militare russa, specie se condotta in un breve periodo e sotto stress, sarà necessariamente limitata, poiché non potrà mettere in discussione elementi altri che non pertengono la sola logistica pur influenzandola (come il C2 appunto), e che sono legati anche alle preferenze del regime politico.

Vale la pena spostarsi ora alla seconda parte del ragionamento per osservare che cosa effettivamente è avvenuto nel corso della guerra, operazione che consente di verificare se i fatti contribuiscono a sostanziare il quadro appena esposto o se invece lo mettano in crisi. In somma sintesi si può affermare che ci sono state delle modifiche, volte soprattutto a scalare quantitativamente verso l’alto le capacità della logistica russa, ma che non sono avvenuti cambiamenti più profondi. Il punto di partenza dal quale edificare la ricostruzione che consente di giungere a una tale conclusione è ovviamente dato dal fallimento dell’iniziale piano di attacco russo. Molte parole sono già state spese per evidenziare la sproporzione tra aspettative e capacità da parte dell’invasore, ma in questa sede vale la pena richiamare un interessante studio controfattuale pubblicato nel 2023 dalla RAND Corporation – uno dei più antichi e rispettati think tank americani sui temi della difesa – che conclude che le deficienze logistiche hanno reso il piano originale russo di fatto inattuabile anche qualora sul terreno si fossero realizzate le condizioni più favorevoli immaginabili, cosa naturalmente ben lungi dall’essersi verificata (Martin, Barnett e McCarthy 2023). Il fallimento del piano di attacco iniziale ha imposto alla Russia di riadattarsi per sostenere le proprie operazioni militari per un arco di tempo più lungo rispetto a quello originariamente pianificato, e ciò ha imposto un primo (limitato) riaggiustamento della logistica, operazione di fatto facilitata dalle prime controffensive ucraine che hanno liberato l’area a nord di Kyiv, poiché la perdita di terreno ha consentito alle forze armate russe di concentrare le loro capacità di rifornimento in uno spazio minore e di impiegare con maggiore facilità le linee ferroviarie da loro controllate alle quali si sono trovati più prossimi. Oltre a questo, i comandi russi si sono impegnati per avvicinare i depositi di rifornimento al fronte e per razionalizzare quanto possibile le catene di approvvigionamento.

È importante sottolineare che questo primo processo di adattamento, avvenuto già da aprile 2022, è stato dovuto non a un’iniziativa russa quanto a un’efficace azione ucraina, ed è dunque eminentemente reattivo. Al netto della sua origine, tuttavia, ha comunque sortito effetti positivi soprattutto perché ha permesso di rifornire in modo affidabile l’artiglieria, la quale non soltanto è l’elemento attorno al quale molto dell’impiego della massa russa ruota, ma che diventa ancora più importante in un contesto in cui la Russia non gode della superiorità aerea. Il vantaggio russo è stato però di breve durata, venendo ridimensionato già a partire dalla metà del 2022 con l’approvvigionamento all’Ucraina dei sistemi di artiglieria ad alta mobilità HIMARS, un fatto che ha imposto ai russi di ritirare i loro depositi oltre la distanza percorribile in un solo giorno (andata e ritorno) dalla più parte dei loro mezzi ruotati dediti al rifornimento. La maggiore minaccia a cui è stata sottoposta la catena logistica russa ha però anche suggerito ulteriori adattamenti, che in particolare hanno riguardato un miglioramento in termini di dispersione dei depositi (riducendo così il potenziale di danno che può essere inferto con un singolo attacco) e del loro camuffamento, nonché un impiego più vasto ed efficace della guerra elettronica (electronic warfare, EW) allo scopo di interferire con la guida di precisione degli HIMARS. Le controffensive condotte con successo dalle forze armate ucraine negli oblast di Charkiv e di Cherson a partire dalla tarda estate e in autunno del 2022 hanno riprodotto gli stessi effetti sulla logistica russa già visti dopo la riconquista da parte ucraina dell’area a nord di Kyiv, ovvero una riduzione della linea del fronte con conseguente semplificazione della logistica. Il primo anno di guerra ha dunque visto le forze armate russe adattare la loro logistica in maniera obbligata e reattiva, in funzione delle mosse intraprese dall’avversario ucraino.

L’anno 2022 si è concluso con l’iniziativa militare in mano all’Ucraina e con l’avvio, da parte russa, di una generale opera di indurimento del fronte allo scopo di impedire ulteriori riconquiste al proprio avversario, concretizzatasi con l’approntamento della cosiddetta “linea Surovikin” (dal nome del generale che ha preso il comando del teatro ucraino nell’ottobre del 2022). Come è noto, nell’estate del 2023 l’Ucraina ha tentato di lanciare una nuova controffensiva, ma ha ottenuto soltanto successi marginali, cedendo così l’iniziativa sul campo alla Russia, che la detiene ancora oggi. In questo lasso di tempo, e nonostante gli ampi sforzi spesi da entrambe le parti, la linea del fronte è mutata solo marginalmente. In assenza di scambi di territorio di cospicua entità, lo stimolo alle riforme logistiche reattive operato dalle forze armate russe descritto in precedenza è di fatto venuto meno, anche se è lecito attendersi qualche ulteriore revisione a seguito dell’indebolimento dei vincoli politici all’uso di armi di provenienza occidentale su suolo russo, poiché questo ha ridotto il vantaggio di poter giocare una guerra posizionale con le retrovie in parte “santuarizzate” – cioè protette per vincoli di natura politico-legale – da contrattacchi nemici.

Giunti a questo punto, vale la pena chiedersi: la relativa stabilità del fronte a partire dal tardo 2022, a cui si aggiunge la riconquista dell’iniziativa militare nella seconda metà del 2023, sono stati elementi sufficienti a permettere un generale ripensamento della logistica ai vertici russi? Per le ragioni richiamate in apertura di questo breve articolo, le aspettative sono in senso negativo, e i fatti avvalorano questa ipotesi. Non soltanto le riforme sono state prevalentemente di carattere passivo-reattivo, ma l’interferenza del regime politico nelle questioni militari ha generato ripetuti avvicendamenti anche al vertice dei servizi logistici militari (MTO – materjal’no-techničeskoe obespečenie), rendendo impossibile attuare qualunque riforma annunciata anche al netto dei gravi e difficilmente sormontabili limiti di ordine materiale.

Tra l’avvio della “operazione militare speciale” e il maggio 2023, infatti, l’MTO ha cambiato tre comandanti in capo. All’inizio della guerra si trovava sotto il comando del Generale Dmitrij Bulgakov, che ricopriva anche il ruolo di vice-ministro della Difesa. L’incarico di Bulgakov risaliva al 2008, e dunque è coevo rispetto al vasto programma di riforme che ha interessato le forze armate russe durante a partire dalla presidenza di Dmitrij Medvedev, che hanno riguardato anche la logistica (con un tentativo di privatizzazione della stessa), e che si sono rivelate fallimentari già da ben prima del lancio dell’invasione dell’Ucraina, tant’è che furono parzialmente revocate. Nel settembre 2022 Bulgakov fu rimpiazzato alla guida del MTO (e anche nella carica di vice-ministro della Difesa) dal Colonnello Generale Michail Mizincev, il famigerato “macellaio di Marjupol”. Vale la pena osservare che Mizincev era di un grado inferiore rispetto a Bulgakov e non aveva nessuno specifico background in materia di logistica, quanto piuttosto un pregresso in attività di combattimento risalente all’intervento militare russo in Siria. Nel tardo aprile 2023, infine, anche Mizincev fu sostituito, questa volta con il Colonnello Generale Aleksej Kuz’menkov.

Le ragioni dietro alla nomina prima e alla sostituzione poi di Mizincev sono, plausibilmente, di tipo politico-militare. Mizincev assunse la posizione nell’autunno 2022, quando la situazione per la Russia era particolarmente negativa ed era necessario approntare il più rapidamente possibile una difesa efficace. La sua nomina è pressoché contemporanea all’elevazione di Sergej Surovikin, altro celebre veterano della guerra in Siria, alla posizione di comandante per l’intero teatro ucraino. È legittimo immaginare che, nel tentativo di arginare la spinta ucraina, il Cremlino abbia deciso per un avvicendamento ai vertici delle forze operanti in Ucraina che garantisse i migliori livelli di collaborazione tra comandanti. Ecco dunque il perché della scelta di Mizincev per l’MTO, dato che già era stato in tandem con Surovikin durante le operazioni in Siria. Inoltre, entrambi i generali erano relativamente vicini al gruppo paramilitare Wagner, col quale avevano già cooperato in Siria, e il quale era divenuto la punta di lancia delle operazioni offensive russe in Donbass in quel momento. Attribuire il comando generale a Surovikin e la logistica a Mizincev avrebbe dovuto essere una garanzia di buon coordinamento e coesione interna alle forze armate, e tra queste e Wagner. Già nella primavera del 2023 tuttavia, il clima era cambiato, e le priorità per il Cremlino divennero calmierare le rivalità tra i vertici delle forze armate e Wagner da un lato, e dall’altro evitare un eccessivo avvicinamento tra Wagner e alcuni elementi dell’esercito che potesse trasformarsi una minaccia per il regime stesso. La soluzione, com’è noto, fu trovata tra le altre cose nella rimozione di Surovikin dal comando, nonostante questi si fosse dimostrato un comandante relativamente competente (forse il migliore tra quelli impiegati dalla Russia in Ucraina a oggi), e con lui cadde naturalmente anche Mizincev. Mizincev passò formalmente nelle fila di Wagner poco dopo il suo licenziamento da capo del MTO, ma Wagner cessò formalmente di esistere poco dopo, in seguito alla fallita rivolta del 23-24 giugno 2023.

Nel corso del suo breve mandato alla guida del MTO, Mizincev suggerì una serie di riforme da attuare in campo logistico, alcune al limite dello scontato (adeguare le strutture, fornire materiali di qualità, formare specialisti, e così via), altre meno generiche e potenzialmente più incisive, come l’introduzione di rampe universali per il carico e scarico dei materiali dai treni. A queste si sono aggiunte proposte più ambiziose, come l’idea di introdurre una robotizzazione della logistica militare russa e di rivederne in profondità i concetti fondanti. Le riforme più radicali, tuttavia, richiedono tempo e risorse e, a posteriori, l’enunciazione di un programma tanto ambizioso pare non essere stato altro che il classico modo in cui il nuovo comandante ha cercato di rimarcare la propria discontinuità rispetto a Bulgakov. Il comandante subentrato a Mizincev, Aleksej Kuz’menkov, ha alle spalle un background più che decennale nel campo della logistica militare (a differenza del suo predecessore), ma nonostante questo e l’avvio di un nuovo ciclo di adattamento dell’MTO nella seconda metà del 2023, le sfide che la logistica militare russa deve affrontare restano ampie, profonde, e richiedono una quantità di tempo e di risorse fuori portata al momento corrente.

In somma sintesi, osservando il periodo che va dal 24 febbraio 2022 alla fine del 2023, è possibile affermare che, al netto di affermazioni roboanti dalla difficile implementazione, c’è stata una misura di adattamento dell’apparato logistico russo, ma che tale adattamento è stato piuttosto reattivo che non pro-attivo, piuttosto quantitativo che non qualitativo, e non ha messo in discussione nessuno degli elementi principali alla base dei limiti e delle disfunzioni osservate in circa due anni di guerra.

Sulla base di quanto appena concluso, passiamo ora alla terza e ultima parte di questa breve riflessione. Dato il quadro fin qui dipinto, che cosa ci si può attendere per il futuro? Questa domanda generale può essere scomposta in tre parti. 1) È la Russia in grado di riformare in profondità il proprio apparato militare logistico durante la guerra in Ucraina? 2) Può operare tali riforme nel dopoguerra? 3) Alla luce delle risposte ai due quesiti precedenti, che cosa ci si può aspettare sul piano militare sia in riferimento alla guerra in Ucraina che al dopoguerra?

Per quel che concerne la prima domanda, riforme profonde abbastanza da garantire un cambio radicale di marcia paiono fuori portata, perché richiedono di fare i conti con quattro nodi di ardua soluzione, specie a conflitto in corso.  Il primo è di carattere puramente materiale e riguarda la difficoltà di svincolare le forze armate russe dalla dipendenza dalla ferrovia, poiché è la difesa dello stesso territorio russo a richiederla (la rete stradale non è alla stessa altezza di quella ferroviaria e non garantisce gli stessi standard di percorribilità a fronte delle non facili condizioni climatiche del paese). Sarebbe dunque necessario un serio potenziamento della componente su ruote, con personale e servizi annessi. Il secondo nodo è di carattere militare (anche se è legato pure alla dimensione politica), e consiste nella necessità di rivedere il sistema di comando e controllo – il che implica una diversa formazione di ufficiali e sottoufficiali – che consenta di spostare il modello di logistica verso il versante pull da quello push in cui si trova. Si tratta di qualcosa che non solo potrebbe non essere gradito tanto dalle forze armate quanto dal Cremlino, ma che richiede inoltre lungo tempo per la messa a punto dei programmi formativi e per l’addestramento del personale. Il terzo nodo ha natura più prettamente politica, e riguarda la necessità del regime di “purgare” i comandanti potenzialmente pericolosi per il regime stesso, anche al netto delle loro capacità militari, competenze, e risultati. Questa esigenza politica da un lato rimuove i riformatori e dall’altro scoraggia una cultura professionale disposta ad accettare rischi, favorendo invece approcci più cauti e graditi alla leadership politica. Dal momento che è un tratto che incide direttamente sulla percezione delle chance di sopravvivenza del regime da parte del regime stesso, pare difficile immaginare verrà messo in discussione. Anche il quarto e ultimo punto è di carattere politico, e riguarda la necessità, per il regime, di tollerare un certo livello di corruzione al fine di mantenere la stabilità del regime e la lealtà di elementi chiave della società e dello stato russi. Questo significa che esiste una quota incomprimibile di corruzione e di malapratica che il regime deve tollerare, anche all’interno delle forze armate e della logistica militare.

La possibilità di riformare in profondità la logistica militare resterà fuori portata anche nel dopo guerra? Probabilmente sì, perché va tenuto ben presente che la ricostituzione della componente combattente avrà la precedenza su qualunque riforma e potenziamento della logistica, e che affrontare i nodi di cui sopra significa anche fare i conti con problemi strutturali ben più ampi e pervasivi che caratterizzano la Russia, quali l’arretratezza tecnologica e la corruzione diffusa. Irrealistico dunque immaginare che, anche nello scenario più favorevole per la Russia del dopoguerra e ipotizzando una seria volontà riformatrice, i cambiamenti necessari possano avvenire in tempi inferiori al decennio. Il chiodo sulla bara della trasformazione della logistica militare russa, paradossalmente, potrebbe essere dato proprio da una vittoria, anche parziale, del Cremlino nella guerra in corso. Questo perché da un lato una macchina militare vittoriosa potrebbe essere più tetragona a riforme, e dall’altro perché il regime per reggersi sarà obbligato a riprodurre almeno alcune delle scelte militarmente disfunzionali già compiute per tutelarsi, anche a scapito dell’efficienza e della capacità militare.

Infine, per quel che concerne l’ultima domanda, relativa al futuro delle operazioni militari russe in Ucraina e altrove, è possibile affermare che i difetti della logistica costituiscono un importante fattore limitante alla condotta di attività militari proiettate al di fuori del territorio russo, specie se sostenute nel tempo. Questo perché la Russia resta inabile dal condurre operazioni militari di vasta portata in assenza di disponibilità di linee ferroviarie controllate nei pressi, perché il suo modello logistico è scarsamente meccanizzabile e molto dipendente da manodopera umana, e perché la grande dipendenza dall’artiglieria per la condotta delle operazioni affatica pesantemente una macchina sottodimensionata e dalla difficile ottimizzazione. Questo significa che le limitazioni che osservavo circa il potenziale sviluppo delle attività militari russe in Ucraina nella primavera del 2022 restano valide ancora oggi e saranno un fattore che caratterizzerà il conflitto ancora nei mesi a venire, rendendo eccezionalmente improbabili grandi penetrazioni in territorio ucraino di formazioni russe. Questa debolezza dell’apparato di supporto all’attività militare, inoltre, costituisce un tallone di Achille, sul quale l’Ucraina può eventualmente esercitare pressione per risparmiare i propri uomini e mezzi (stante naturalmente la disponibilità di adeguati strumenti per farlo).

Dalla disamina fin qui condotta discende che la Russia di Putin, nonostante le ambizioni e una retorica nettamente aggressiva, è di fatto un orso privo di zanne e artigli? Purtroppo no, perché come già dimostrato in passato, la limitatezza dei mezzi non è stato un fattore sufficiente a limitare la tendenza ad assumersi rischi da parte del Cremlino a fronte dell’aspettativa che a una mossa repentina e brutale sarebbero seguiti vantaggi significativi. L’azzardo ucraino lanciato nel febbraio 2022 ha interrotto quella che si potrebbe definire una “lucky streak” o sequenza fortunata per l’autocrate del Cremlino, che ripetutamente ha lanciato aggressioni lampo anche di tipo militare (notabilmente in Georgia nel 2008 e nella stessa Ucraina nel 2014) mietendo successi. Sarà il costo della guerra in Ucraina un fattore sufficiente a rendere il regime di Putin nel post-conflitto prono a più miti consigli? Sarebbe probabilmente ingenuo credere di sì, dato il pregresso, e data l’esigenza che il regime avrà, in un ipotetico dopoguerra, di recuperare il più rapidamente possibile quote di prestigio messe in discussione da una performance militare meno che brillante e di gran lunga al di sotto dei grandiosi proclami che hanno caratterizzato il periodo pre-bellico. In altre parole, non è detto che all’assenza di capacità corrisponda un’assenza di ambizione, e un regime ferito potrebbe essere incentivato invece a lanciarsi in azzardi sempre più rischiosi per rimandare (o mascherare) la propria inevitabile perdita di status internazionale e di legittimità interna. Ma anche tralasciando eventuali speculazioni sulla politica estera russa del futuro, e restando all’osservazione di meri dati materiali, vale la pena ribadire la maggiore vulnerabilità dello spazio ex-sovietico ad attacchi militari russi non solo per ragioni di prossimità territoriale, ma anche perché negli stati nati dalla dissoluzione dell’URSS le reti ferroviarie impiegano ancora lo scarto risalente ai tempi dell’Unione Sovietica (1520 mm) e dunque sono pienamente compatibili col materiale rotabile e con gli standard applicati dalle unità militari ferroviarie della Russia (mentre nel resto di Europa si usano scarti diversi, prevalentemente quello da 1435 mm). La minaccia militare russa, almeno nella sua forma classica inerente una guerra “guerreggiata”, resta dunque sostanzialmente ancorata a uno spazio specifico, ma non è per questo annullata, così come non lo sono le forme di confronto ibride, grigie e sfumate che il regime di Putin ha dispiegato su scala globale, con grande successo, nel corso della sua pluridecennale esistenza.

FONTI e BIBLIOGRAFIA

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